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Li abbiamo visti da una parte all’altra dello Stivale, nelle piazze e su palchi più o meno improvvisati. I leader dei principali partiti italiani, specie nelle ultime ore, si sono sperticati negli appelli al voto in vista delle Europee di domani e domenica. Peccato però che “gli appelli al voto non servano. Anzi, negli anni, hanno portato sempre meno persone alle urne”. Usa lo schema del paradosso, Nicola Piepoli, titolare dell’omonima agenzia di sondaggi nella sua analisi consegnata a Formiche.net.

Quindi gli sforzi che stanno facendo leader e candidati per tentare di portare alle urne più persone possibili, è sostanzialmente inutile?

Sono i numeri a dimostrare che, dal 1945 a oggi, il livello di disaffezione alle urne da parte del popolo italiano è drasticamente calato. Siamo passati dal 92% degli aventi diritti in termini di affluenza a poco più del 55%/60% al massimo. Gli appelli al voto non servono e, soprattutto, non raggiungono l’obiettivo sperato.

Cos’è accaduto?

Ci sono una serie di fattori che hanno determinato questa situazione. Tra questi, c’è sicuramente la comunicazione: i politici sempre più spesso fanno fatica a rivolgersi al proprio elettorato e tanto meno all’elettorato che non ha appartenenza ideologica. È come se le persone percepissero una distanza incolmabile tra politici e i loro problemi reali.

Quindi prevede un astensionismo molto alto anche per questa tornata?

L’unico vero traino che si può sperare di avere in termini di affluenza è legato alle tantissime elezioni amministrative che si terranno in concomitanza su tantissimi territori sparsi per tutta Italia. Le grandi città spostano: da Bari a Bergamo, passando per Modena, Firenze e Reggio Emilia. Ci sono milioni di elettori che possono alzare il livello di partecipazione. Senza contare l’apporto che darà l’elezione regionale del Piemonte.

Se il territorio traina le Europee significa che la partecipazione sarà ragionevolmente più alta. 

Il territorio generalmente ha dinamiche diverse ma, in linea di massima, la partecipazione al voto è più alta perché le persone riconoscono chi lavora e chi non lavora. Il fattore della prossimità e della risoluzioni dei problemi legati alla quotidianità incide molto sull’affezione alle urne.

Dove sbagliano, dunque, i politici nazionali?

Con queste mie considerazioni non voglio dire che i politici sono tutti dei fannulloni o che nessuno di loro lavora per il Paese. Anzi, la maggioranza dei politici che io ho conosciuto ha lavorato e lavora egregiamente. Però c’è una minoranza rumorosa che getta un’onta sull’intera classe politica. E genera lo stereotipo che infonde tra le persone la convinzione secondo la quale votare tutto sommato non serve.

Anche in questa campagna elettorale i leader hanno fatto questo errore?

Il trend si nota nel lungo termine. Sicuramente molti hanno avuto difficoltà a stabilire un registro comunicativo con il proprio elettorato. Ma non penso sia tutto perduto: tornare a una politica più vicina alle istanze delle persone renderà queste ultime sicuramente più coinvolte.

Gli appelli al voto non servono, per l'affluenza traineranno i territori. Parla Piepoli

Gli appelli al voto hanno dimostrato di non funzionare, tant’è che dal 1945 a oggi l’affluenza è calata drasticamente. Serve una politica vicina alle istanze delle persone e che risolva i problemi quotidiani. A trainare l’affluenza alle Europee saranno le tante amministrative disseminate lungo lo Stivale e in particolare nelle grandi città. Conversazione con il sondaggista Nicola Piepoli

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