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Tutti gli osservatori più autorevoli hanno sottolineato che il Presidente Renzi – nel prendere le distanze dall’esito del vertice UE di Bratislava e nel metterne in evidenza le mancate risposte ai problemi dell’immigrazione e della crescita economica – lo avrebbe fatto guardando soprattutto al prossimo referendum costituzionale nel nostro Paese.

E perché non avrebbe dovuto farlo? E perché poi si stupiscono che lo abbia fatto proprio coloro che gli hanno sempre rimproverato di non averlo fatto prima? Perché così facendo ha sottratto un argomento di polemica politica anche dura alle opposizioni, dalla Lega di Salvini al Movimento 5 Stelle? Certo, lo ha fatto anche per questa ragione, ma lo ha fatto in primo luogo perché ormai è evidente a gran parte dell’opinione pubblica europea che il rigorismo imposto dalla Germania alle scelte di politica economica dei Paesi europei – ancor prima che danneggiare la crescita dell’Unione e degli Stati dell’Eurogruppo – rischia di scardinare definitivamente l’idea stessa di un’Europa unita, proprio alle soglie del 60° anniversario dell’istituzione del Mercato comune europeo, nato il 25 marzo del 1957 con il Trattato di Roma.

Renzi ha denunciato con forza che l’Italia è stata lasciata sola sui problemi dell’immigrazione – come ben sanno tutti i sindaci delle città che ospitano con crescenti difficoltà le migliaia di migranti che giungono quotidianamente sulle nostre sponde – e in materia di crescita economica che non riguarda però solo l’Italia, ma tutta l’eurozona, e che riceverebbe un colpo veramente mortale con l’applicazione del Fiscal compact.

Non sappiamo, al momento, sino a che punto il presidente vorrà spingersi nella polemica e nello scontro con Bruxelles, in vista della legge di bilancio e se vorrà portarsi per la manovra del 2017 sino alle soglie del 3% nel rapporto deficit/Pil, o addirittura sforarlo, ma ci chiediamo: perché Spagna e Portogallo hanno potuto sforare (e di molto anche) quel rapporto senza che la Commissione Europea aprisse una procedura di infrazione nei loro confronti, mentre all’Italia non dovrebbe essere consentito? Perché abbiamo un debito pubblico rispetto al Pil superiore a quello di molti altri Paesi? Ma non è stato proprio un autorevole Centro studi tedesco alcuni mesi orsono a mettere in luce che quel debito è sostenibile nel medio-lungo periodo, in particolare per il sistema previdenziale e pensionistico? E perché poi se la Francia sfora sistematicamente da anni il rapporto deficit/Pil nessuno a Bruxelles osa, non dico avviare, ma anche solo proporre nei suoi confronti una procedura di infrazione? Perché la Francia esprime così la sua grandeur? La Germania, a sua volta, non reinveste come dovrebbe i surplus commerciali oltre il 6%.

Ma c’è di più. Dopo averci imposto di aderire a sanzioni contro la Russia di Putin per le vicende dell’Ucraina e della Crimea – sanzioni che, riducendo il nostro export in quel grande mercato, stanno danneggiando tante Pmi italiane, molte delle quali nel Sud – apprendiamo proprio in questi giorni dalla stampa che sono iniziate le fasi preparatorie per la costruzione del gasdotto Nord Stream che porterà metano dalla Russia in Germania attraverso il Mare del Nord, aggirando così il corridoio ucraino. Nello scenario dei grandi mercati energetici, l’opera è certamente utile, ma perché allora la Germania può fare in Europa tutto ciò che ritiene utile ai suoi interessi e l’Italia, invece, deve essere sempre sotto costante e occhiuta osservazione dei burocrati di Bruxelles e di Commissari europei?

Allora, i margini di flessibilità per la ormai prossima legge di bilancio, se non ci verranno concessi secondo quanto previsto dallo stesso Patto di stabilità – come suggeriscono anche tanti autorevoli economisti e come vorrebbe la stragrande maggioranza del popolo italiano – dovremmo prenderceli senza contrattazione alcuna. Se ne dovrebbero fare una ragione negli europalazzi della capitale belga. L’Italia è una grande potenza industriale mondiale – anche se molti nostri connazionali spesso lo dimenticano – e pertanto non può accettare oltre una sovranità limitata quando invece altri Paesi dell’eurozona, in alcuni casi meno grandi del nostro, non contrattano neppure su quei margini di flessibilità e sul superamento del rapporto deficit/Pil: lo sforano e basta.

Noi abbiamo da rimettere in movimento l’economia nazionale, in fase di rallentamento, anche per rafforzare gli effetti delle coraggiose riforme volute dal Governo e fatte approvare dal Parlamento; il nostro è un Paese con un potenziale di crescita enorme, soprattutto nel Mezzogiorno – ma tutti dovremmo esserne pienamente consapevoli, assumendo comportamenti conseguenti – e perciò avvertiamo la necessità di forzare, se non ci verrà consentito, determinati vincoli che ormai rischino di stritolarci come la camicia di Nesso.

Un’ultima considerazione: la minoranza del Pd – che sembra ossessionata solo dall’Italicum e dalla necessità di cambiarlo – farebbe bene a supportare con convinzione l’azione di Renzi nei confronti dell’UE, andando a dirlo nelle piazze e nelle sezioni del partito. senza vivere soltanto nei talk show di conduttori compiacenti: tornino insomma a praticare – come si usava dire una volta – il lavoro di massa fra operai, tecnici, quadri, dirigenti d’azienda, pensionati, casalinghe, professionisti, commercianti, impiegati, professori. La battaglia forte e razionale contro il rigorismo della UE ha bisogno dell’apporto di tutti, senza desistenze, piccole furbizie, distinguo, tatticismi e altre pratiche che non contemplino una forte, chiara e percepibile discesa in campo.

Renzi Merkel Bratislava

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