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Sulla questione della libertà di scelta educativa e di insegnamento, che finalmente inizia a imbarazzare le intelligenze degli onesti cittadini non distrutte dall’ideologia, oltre a quelle degli alti dirigenti del Miur, la soluzione c’è, come risulta in tutti i Paesi europei, mentre l’Italia è la più grave eccezione e resta al 47esimo posto al mondo in termini di libertà di scelta educativa. È stato dimostrato in modo scientifico e indiscutibile che garantire tale libertà, oltre a rendere l’Italia uno Stato di diritto, capace di garantire i diritti che riconosce, sarebbe un’operazione a costo zero per le casse dello Stato.

Il cittadino positivo e fiducioso, dopo aver sentito un premier affermare, nel giorno del suo insediamento al Governo, di voler mettere la famiglia e la cultura al centro della rinascita dell’Italia attraverso il progetto “La Buona Scuola”, aveva pensato di rivivere gli anni di Gramsci, Codignola, Aldo Moro. Quando lo stesso premier disse: “Scrivetemi e vi risponderò” forse quel cittadino ci avrà creduto. Impossibile non farsi venire in mente Leopardi che definì gli italiani abili nella parola e nel filosofare, ma altresì incapaci nell’agire. Forse il premier in questione, con tutto il rispetto, avrebbe dovuto affermare, sempre nello stile friendly che lo caratterizza: “Scrivetemi, e se il mio staff – oberato dalle mail – avrà il tempo, vi risponderà”. Oppure (ma ciò avrebbe implicato una buona dose di coraggio, che “uno non se lo può dare”): “Scrivetemi, e se so cosa rispondere, lo farò”. Il meglio: “Scrivetemi, e se la politica e i sindacati me lo consentiranno, risponderò”.

Il cittadino italiano ben acculturato sulla libertà di scelta educativa della famiglia, perché è andato tenacemente a fondo delle questioni, è consapevole che ci sono al Miur figure professionali di altissimo livello, dal ministro a tanti alti dirigenti preparatissimi, che non solo rispondono alle richieste, ma addirittura si adoperano per risolvere problemi molto seri, come è avvenuto per lo sblocco dei contributi spettanti a scuole pubbliche – paritarie – che in Italia fanno risparmiare sei miliardi annui di euro allo Stato, pagando puntualmente il personale e offrendo un servizio pubblico (termine che non è sinonimo di “statale”) eccellente.

Come si è appreso, è stato sbloccato il fondo nazionale per le scuole paritarie, relativo all’anno scolastico 2015-2016. La Corte dei Conti ha già registrato il decreto del ministero dell’Istruzione con i nuovi criteri di riparto dei finanziamenti, che ora potranno essere distribuiti alle scuole. Il sottosegretario all’Istruzione ha commentato: “È bene che siano stati sbloccati questi soldi, che erano fermi non certo per volontà del Ministero. Le scuole erano giustamente preoccupate per i loro bilanci e a loro abbiamo dato una risposta positiva. Ma ancora non basta. Ora lavoriamo per arrivare a un’effettiva parità scolastica”. Eppure ad oggi nulla ci è dato sapere sui tempi di erogazione e ci vien da pensare che ci sia un altro intoppo burocratico che trascinerà con la sua coda molte scuole paritarie nel baratro.

Il cittadino onesto e con le idee chiare sulla libertà di scelta educativa della famiglia può legittimamente chiedere al premier di turno di evitare, in futuro, promesse di dialogo epistolare che non può, o non deve, o non vuole mantenere, altrimenti accade che ogni volta che lo sguardo del cittadino incontra quello del suo corrispondente mancato, ad esempio in TV felicemente scamiciato a Rio all’inaugurazione delle Olimpiadi, sarà inevitabile e automatico che il pensiero corra proprio a quella mail sulla libertà di scelta della famiglia, forse finita accidentalmente nello spam.

È chiaro che il cittadino acculturato e onesto che ha inviato la mail in attesa di risposta non è solo. Manifesterà ai suoi simili il disagio, la preoccupazione, la disillusione, ma anche la determinazione, i passi effettuati, la caparbietà nel perseguire l’obiettivo, semplicissimo, di ottenere quanto promesso: una risposta a un quesito che ha il suo “peso numerico”, in Italia pari a 961.166 alunni (dato Miur 2014/15). Il che significa, in termini di genitori – al netto di quelli comuni a più fratelli – n. 1.900.000 cittadini, ancora giovani e vigorosi, attivi elettoralmente in modo politicamente trasversale, che sono tenuti costantemente al corrente della questione “libertà di scelta educativa della famiglia in un pluralismo di offerta formativa pubblica, statale e paritaria”. A questi possiamo anche aggiungere n. 100.000 docenti circa, regolarmente abilitati, che pure sanno il significato di “libertà di insegnamento nell’ambito dell’offerta pubblica”, come avviene in tutti i Paesi europei, a eccezione dell’Italia e della Grecia. Non c’è “piano straordinario per la cultura” che tenga, senza libertà di “fare cultura”. Né valgono i cavilli burocratici, quando si palesano le contraddizioni: i docenti delle paritarie insegnano in scuole per legge pubbliche, che svolgono un servizio “per tutti”, per il quale lo Stato non spende nulla. Difficile far accettare a questi 100.000 cittadini – e forse anche al milione e 900.000 genitori dei loro alunni – che lo Stato devolve 500 euro per la formazione culturale solo ai docenti delle pubbliche statali, in quanto dipendenti della mamma-Stato, e li devolve anche ai ragazzi maggiorenni, che dipendenti non sono (ma voteranno).

A chi concorre alla formazione di 961.166 alunni, che allo Stato nulla costano, nulla spetta? Molti Enti culturali di prestigio, che pubblicizzavano i loro servizi, in ordine al bonus, ai docenti delle scuole pubbliche statali e pubbliche paritarie, sono inorriditi sentendosi rispondere dai docenti delle pubbliche paritarie che loro non ne avevano diritto. “Ma perché? Non siete docenti come gli altri? Non fate un servizio anche voi per lo Stato? Non formate cittadini con titoli validi?”. Fortunatamente la coscienza di ciò che è giusto esiste ancora, nel popolo, se è persa dalle Istituzioni.

Le mail potrebbero aumentare in modo esponenziale, soprattutto quelle dei genitori che si vedono costretti a “scegliere” la scuola pubblica statale in mancanza di un pluralismo formativo. Ogni premier sa che questo tipo di meccanismo dà origine a ed è frutto di un Regime. Semplicemente.

Non esistono, comunque, solo richieste virtuali. Serpeggia infatti un desiderio originale tra i giovani cittadini di cui sopra, che forse desiderano un segno concreto: ad esempio, trovare un nastro bianco sulla porta della scuola al primo giorno del rientro, da postare sul sito del saggio “Il diritto di apprendere”, che sicuramente il premier avrà letto e meditato. Nessun riferimento ai colori della politica: soltanto la richiesta civilissima di una risposta, anche breve, all’invito fatto dallo stesso premier di comunicare con lui. Basterà una sola mail indirizzata a tutti i cittadini che domandano: “A quando il costo standard di sostenibilità per alunno nel sistema nazionale di Istruzione?”

Scuola, ecco come migliorare la libertà di scelta educativa

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