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Il direttore de La Stampa lo ha descritto come un “grande gioco”, io preferisco chiamarla una “grande scommessa”. L’accresciuta proiezione internazionale di Putin non è conseguenza solo di una visione strategica ma anche, forse soprattutto, di una necessità. Le condizioni economiche e finanziarie della Russia ci consegnano un Paese debole, impoverito e segnato dalle grandi ineguaglianze fra i ricchi oligarchi amici del Presidente e tutti gli altri. A tenere insieme una società così fragile è proprio l’appello nazionalista alla grandezza di una nazione che l’ex direttore dell’Fsb (fu Kgb) riesce ad interpretare con indubbia capacità. Il dubbio quindi non riguarda le “qualità” di Putin e della sua democratura, in carica dalla fine del secolo scorso. La questione che riguarda tutti noi attiene alla valenza di un ritorno del Patto di Varsavia, questa volta chiamato Eurasia.

La ricerca di un profilo di potenza tale da poter dialogare alla pari con Stati Uniti e Cina ha infatti mosso il Cremlino in un gioco diplomatico particolarmente astuto che lo ha visto incunearsi in ogni difficoltà o contraddizione americana sfruttando la totale assenza dell’Europa accartocciata nella somma ineguale dei suoi diversi e contrastanti interessi nazionali. Siria, Turchia, Libia, Egitto ed Israele sono i punti di riferimento di una tessitura che prova ad unire furbizie e debolezze non di rado contraddittorie. Si tratta di alleanze estemporanee figlie di convergenze occasionali o assistiamo ad una trama robusta che ridisegna la cartina del Mediterraneo? Vedremo ma intanto notiamo che tanto è bastato per distogliere l’attenzione dal progetto, tutt’altro che pacifico, di sostanziale annessione dell’Ucraina. Qui Putin ha sì registrato un successo (la Crimea) ma ha anche dovuto fare i conti con uno stop più determinato di quanto non avesse previsto.

La Russia si trova così esposta su più fronti e per saldare le sue nuove amicizie internazionali ha preso impegni economici non banali (per lo più commesse militari, ma non solo) ed il tutto nel contesto di una difficoltà strutturale della sua economia (il prezzo delle risorse energetiche non aiuta). Per il Cremlino a questo punto la sfida è nei tempi, nel tentativo cioè di avanzare quanto più possibile entro la fine di questo anno in modo da poter iniziare il negoziato con il nuovo inquilino della Casa Bianca da una posizione di maggiore forza. Nel frattempo, il gioco del rilancio si fa più rischioso. Il fatto che l’Europa non esista come Unione aiuta Putin ma lo illude anche.

Tirare la corda ha molto funzionato salvo fare poi una contabilità più profonda fra esito politico ed esito reale. I numeri infatti ci dicono che Mosca ha sin qui pagato più di quanto non abbia ottenuto. E se proseguendo la corda si spezzasse? Giocare sul crinale di un conflitto di ampie proporzioni, ancorché ibrido, conviene alla Russia? Il neo imperialismo di Putin ha i piedi di argilla molto più di quanto non possa apparire a prima vista. Indipendentemente però dalla valutazione che la storia stessa ci consegnerà in un futuro non lontano, una cosa sin da ora la possiamo già dire. I “grandi giocati” siamo proprio noi europei (e noi italiani in modo particolare).

Paolo Messa, editore della rivista Formiche

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