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Contrariamente all’immaginario comune, il sito di Chernobyl, al confine settentrionale dell’Ucraina, è tutt’altro che deserto. L’area è interdetta al pubblico, ma oltre duemila persone lavorano, a ridosso dei ruderi della centrale, per attuare diversi progetti finanziati dalla comunità internazionale, alla cui realizzazione collaborano anche importanti industrie italiane.

A tre decenni di distanza dal disastro che ha evidenziato i limiti dell’uso dell’energia nucleare, è stato appena completato il New Safe Confinement (Nsc), la nuova copertura di sicurezza che verrà collocata sull’unità quattro, quella danneggiata, per sostituire la vecchia copertura di lamiera costruita subito dopo l’incidente. Là sotto, infatti, rimangono ancora oltre duecento tonnellate di materiale nucleare. Il nuovo “guscio” è un’opera di ingegneria avanzata, frutto di un’inedita collaborazione politica e tecnica tra Stati diversi: i fondi erogati dalla comunità internazionale sono stati gestiti dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), e utilizzati in concertazione con le autorità di Kiev.

Il Nsc, con la sua mole e la sua superficie di acciaio, si staglia già oggi nel panorama pianeggiante dell’Ucraina: 109 metri di altezza, 175 di larghezza e 275 di lunghezza; il tutto per 38mila tonnellate di peso. Con questi numeri, non stupisce che il Nsc sia stato costruito, dal 2005 ad oggi, in due parti separate, il fianco destro e quello sinistro, che sono stati poi assemblati e saldati. L’anno prossimo il guscio sarà collocato, mediante binari, sopra l’unità esplosa, sigillandone i ruderi e impedendo ogni ulteriore perdita di materiale radioattivo. Il Nsc incorpora standard innovativi di ecocompatibilità e di sicurezza del personale che vi ha lavorato, ed è stato progettato per una durata indefinita. Responsabile della sua realizzazione è il consorzio Novarka, composto da ditte francesi. Il costo dell’intera struttura, pari a oltre 500 milioni di euro, è stato sostenuto dalla comunità internazionale.

Anche dopo il collocamento del New Safe Confinement, tuttavia, il lavoro non sarà concluso: bisognerà, dall’interno del guscio, procedere alla rimozione di tutto il materiale radioattivo, un processo la cui durata è stimata dai 30 ai 50 anni. Proprio per provvedere allo smaltimento di questo materiale è in costruzione un’infrastruttura apposita, anch’essa finanziata dalla Bers, a poche centinaia di metri dall’unità quattro.

D’altra parte, la nuova copertura è solo l’ultimo esempio di una serie di progetti lunga tre decenni. Basti menzionare la conclusione, nel 2012, di un Integrated automated monitoring system (Iams), risultato di otto anni di lavori di un consorzio che ha operato sotto la guida dell’italiana Ansaldo Nucleare. La tecnologia di Iams sarà applicata al New Safe Confinement, con l’obiettivo di supervisionare i parametri ambientali e strutturali della copertura, nonché di inviare regolarmente le rilevazioni a un database centrale, attraverso un sistema unificato di elaborazione e immagazzinamento dei dati. Molteplici parametri relativi alla sicurezza nucleare, radioattiva e industriale saranno tenuti sotto stretta osservazione, e questo permetterà di monitorare costantemente lo stato della copertura e di semplificare il processo decisionale in caso di deviazione dai valori di riferimento. Anche questo progetto, come gli altri, è stato finanziato dalla Bers.

Il contributo dell’industria italiana però non si limita a Iams: infatti, Ansaldo Nucleare ha anche realizzato un edificio per il trattamento dei rifiuti nucleari liquidi, costruito a poca distanza dalla centrale, in collaborazione con imprese belghe e francesi. Un’analoga infrastruttura finalizzata al trattamento dei rifiuti solidi è stata realizzata, più recentemente, dalla tedesca Nukem.

I progetti Nsc e Iams, nonché le numerose facilities costruite, rivelano il ruolo cruciale che la comunità internazionale ha giocato, in questi tre decenni, nell’arginare le conseguenze di lungo periodo dell’esplosione. La Bers ha gestito i fondi di 80 Stati donatori, alcuni dei quali non sono neppure azionisti della Banca, né membri dell’Unione europea. Contributi significativi sono stati versati anche dall’Ucraina stessa, e dalla Russia.

“Già nel 1992, il G7 lanciò un piano per migliorare la sicurezza nucleare dei paesi ex comunisti. Il gruppo, insieme alla Commissione europea, chiese alla Bers di istituire un’apposita divisione amministrativa”, ha ricordato Vince Novak, direttore del dipartimento per la sicurezza nucleare della Bers. “Da allora, la Banca sussidia operazioni di incremento degli standard di sicurezza, tanto a livello tecnico quanto a livello culturale. La recente creazione, in Ucraina, di un’agenzia governativa per la sicurezza nucleare è senza dubbio un segnale di un positivo cambio di mentalità”.

Certamente le operazioni necessarie ai diversi progetti non sono semplici, né di breve durata. Proprio per la complessità dell’azione sul campo, la Bers istituisce delle Project management units (Pmu) che lavorano alla gestione pratica dei fondi: organizzazioni miste, composte sia da consulenti internazionali che personale locale. Non sempre, infatti, lavorare insieme è facile, non da ultimo per stardard tecnici di riferimento storicamente diversi e per mentalità operative differenti.

Gli ostacoli non mancano, ma la sfida della sicurezza nucleare può essere affrontata solo dalla comunità internazionale nel suo insieme. Su questo messaggio è il governo di Kiev il primo ad insistere. Al giorno d’oggi, archiviata la logica bipolare, il campo del nucleare è globalizzato, soprattutto nel comune sentire dell’opinione pubblica. Basti ricordare Fukushima, nel 2011, e come un incidente in Giappone abbia potuto influenzare un referendum in Italia. A fronte di questa interdipendenza, è chiaro che un sistema di controlli incrociati che garantisca standard elevati è interesse prioritario di tutti i professionisti del settore.

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