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Da un po’ di tempo le banche regionali e quelli di credito cooperativo sono al centro della discussione. Di una particolare attenzione lo sono anche da parte della Banca centrale europea che le vorrebbe sottoposte alla sua supervisione e riformate secondo un’ottica di maggiore aggregazione. Non solo perché alcune di loro sono entrate in crisi.

E non solo in Italia, ma in tutta l’Europa.

Tecnicamente le istituzioni bancarie di piccole e medie dimensioni sono chiamate less significant institutions. Entità ‘meno significative’ rispetto a quelle di ‘importanza sistemica’, che per questo sono spesso considerate too big to fail, troppo grandi per poter fallire

Nell’intera area euro vi sono circa 3.300 gruppi bancari, di cui 129 di dimensioni notevoli e perciò supervisionate dalla Bce. Le circa 3.200 piccole e medie banche restanti rappresentano il 18% di tutte le attività del sistema bancario europeo.

Sono quasi tutte concentrate in tre Paesi, la Germania, l’Italia e l’Austria. Le suddette piccole banche hanno però bilanci pari all’80% della somma del Pil della Germania e dell’Austria.

Esse rappresentano la più importante catena di trasmissione del credito produttivo verso le imprese di piccola e media dimensione che, non solo secondo noi, sono la spina dorsale e l’interna ossatura dell’economia. In Germania, per esempio, le banche meno significative finanziano il 70% dell’economia.

Il loro tasso di capitale, il cosiddetto Tier 1, è mediamente del 15,2%, straordinariamente superiore al minimo richiesto per le tutte le banche della zona euro che è del 6%.

È una eccellente garanzia per poter far fronte a situazioni difficili. Secondo le stime, le piccole banche, soprattutto in Germania, sono piene di liquidità e in cerca di investimenti e di rendimenti più alti.

Non manca loro il mercato. Manca, invece, la stabilità delle imprese e delle famiglie a causa della recessione economica. Naturalmente esse soffrono moltissimo per la prolungata politica dei bassi tassi di interesse sui prestiti concessi. Di fatto, l’interesse sui crediti è il motore per generare i loro introiti. A loro non è permesso speculare né tanto meno operare con derivati o con altre operazioni finanziarie ad alto rischio.

Adesso la Bce e il Single Supervisory Mechanism per il controllo bancario hanno deciso di intervenire sulle banche less significant con l’intenzione di sottoporle a una supervisione più stringente sia europea che nazionale, a una revisione del loro modello di business, di governance e delle loro strategie.

Di fatto ciò potrebbe comportare un processo di fusione, di possibili cambiamenti del loro status giuridico e di conseguenza determinare la possibilità di essere partecipate o addirittura acquisite dalla banche di rilevanza sistemica.

In altre parole le istituzioni monetarie europee, comprese quelle italiane, intendono far fronte, a loro modo, a quella che esse definiscono «la sfida al tradizionale modello di business delle banche di piccola e media dimensioni». Ciò nonostante esse riconoscano che le banche minori sono «solvibili, liquide, con un basso tasso di crediti inesigibili e con riserve considerevoli». Oltre al fatto che le banche regionali hanno davvero il polso delle situazioni economiche e imprenditoriali locali e spesso una vera conoscenza diretta dei propri clienti e del loro profilo di rischio.

Lo stesso non si può dire delle grandi banche. Che, oltre ad essere principalmente coinvolte in operazioni di cosiddetta «alta finanza» , hanno spesso una scarsa conoscenza della propria clientela.

Si dovrebbe perciò chiedere perché le istituzioni europee privilegino le banche con grandi numeri e pochi legami con i settori portanti dell’economia reale. Non si comprende perché si voglia intervenire sulle reti di banche locali e regionali che notoriamente affiancano le imprese nelle produzioni, nelle modernizzazioni e nell’espansione verso nuovi mercati, anche i più lontani.

Se la priorità dei governi, compreso quello italiano, è – o dovrebbe essere – la ripresa economica e l’occupazione, perché non valorizzare ulteriormente il meccanismo virtuoso delle banche di credito locale? A loro si può chiedere più informazione, imporre più controlli, ma bisognerebbe anche offrire maggiori sostegni per continuare ad operare con un modello ben funzionante e collaudato di supporto delle imprese.

Il falso argomento delle loro dimensioni contenute non è convincente. Non si tratta di esaltare il «piccolo è bello» ma di salvare e sostenere ciò che ha funzionato e continua ancora a funzionare. In Italia il caso della Banca Etruria e delle poche altre banche locali è l’eccezione rispetto ad una rete che oggettivamente si deve ritenere efficace e positiva per l’economica locale e nazionale.

L’imperativo pertanto, almeno nel nostro Paese, dovrebbe essere quello di colpire severamente i responsabili della bancarotta delle poche banche disastrate da gestioni scellerate e sostenere invece quelle che meritoriamente sono gestite correttamente e danno il giusto sostegno allo sviluppo dei territori i cui operano, spesso quelli più svantaggiati.

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