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Un po’ lento sì, ma comunque inesorabile. Il Piano Juncker, lo strumento che porta il nome del presidente Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, per inondare l’economia reale con 315 miliardi di investimenti, ha compiuto un anno. E, per tracciare un primo bilancio, Febaf, Bei e Fei hanno organizzato un convegno a Roma presso la sede della federazione Febaf presieduta da Luigi Abete.

COME PROCEDE IL PIANO JUNCKER

Un dato su tutti. Ad oggi in Europa gli investimenti effettivamente sbloccati grazie alle risorse del Piano Juncker ammontano a quasi 107 miliardi di euro, il 34% dei 315 auspicati. Dunque “siamo a un terzo di investimenti realmente sbloccati”, ha ricordato il vicepresidente della Banca Europea per gli investimenti, Dario Scannapieco. Di strada da fare, per coprire il 100% degli investimenti insomma, ce n’è. Com’è noto il piano agisce come un moltiplicatore: a tot risorse corrisponde un valore aggiunto in termini di investimenti fino a 4-5 volte superiore. L’approvazione nel corso del primo anno da parte della Banca Europea degli investimenti di 17,7 miliardi di finanziamenti hanno attivato investimenti complessivi per 106,8 miliardi.

COSA FA LA BEI IN ITALIA

Stringendo l’obiettivo sull’Italia, la Bei ha diffuso anche i dati relativi allo Stivale. Dove il braccio operativo dell’Ue ha finanziato finora 40 progetti per un totale di 2 miliardi di euro destinati a prestiti, garanzie ed equity. Il che significa che in totale l’Italia ha potuto finora contare su 13,7 miliardi di euro in investimenti, (erano 11,7 a gennaio, record in Ue) sbloccati proprio grazie al Piano Juncker.

CHI HA PIU’ FAME DI RISORSE?

Dai documenti resi noti dalla Bei, emerge poi come sia proprio l’Italia tra i Paesi che hanno inoltrato alla commissione Ue il più alto numero di richieste di finanziamento. Per la precisione 9 domande nell’ultimo anno, un numero secondo solo a quello di Regno Unito (16)  e Belgio (10) ma ben al di sopra di Paesi membri quali Germania (6), Austria (4) e Paesi Bassi (3).

QUEI I DUBBI DI ABETE…

Ma sull’effettivo impatto dello tsunami da 315 miliardi sull’economia reale è arrivato anche qualche dubbio. Per la precisione quelli di Abete, per il quale “sì, il piano Juncker è un piano intelligente, ma insufficiente, anche se ha ottenuto risultati nettamente migliori di quello che c’era da attendersi”. Per il presidente della Bnl e di Febaf “in Italia i risultati raggiunti sono stati anche migliori. Nella sua dimensione attivata e attivabile, il piano Juncker è però nettamente insufficiente rispetto al bisogno di investimenti in Europa. Tutti, oggi, fanno meno investimenti di quello che dovrebbero e l’Europa ne fa di meno perché è complicata per sua natura”.

…E IL REALISMO DI SCANNAPIECO

Decisamente più cauto Scannapieco, dalle cui parole trapela però una certa dose di realismo sul fatto che il Piano Juncker non sia poi onnipotente.  Certo,”non è una panacea, ma un importante segnale nel dibattito pubblico europeo. Grazie a questo strumento, oggi riusciamo a fare operazioni che senza quelle garanzie non avremmo fatto”, ha precisato Scannapieco, sottolineando che il piano “sancisce un cambio di paradigma nella gestione delle risorse pubbliche, dal fondo perduto siamo passati a un’ottica di leva e di coinvolgimento degli operatori privati”.

Piano Juncker, numeri e idee di Abete e Scannapieco

Un po' lento sì, ma comunque inesorabile. Il Piano Juncker, lo strumento che porta il nome del presidente Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, per inondare l'economia reale con 315 miliardi di investimenti, ha compiuto un anno. E, per tracciare un primo bilancio, Febaf, Bei e Fei hanno organizzato un convegno a Roma presso la sede della federazione Febaf presieduta da Luigi Abete. COME…

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