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Fayez Serraj e il Consiglio Presidenziale sostenuto dall’Onu si stanno muovendo con notevole abilità e una buona dose di fortuna. Sono cauti e pragmatici. Sanno che il termine “governo di unità nazionale” è una semplice finzione. Maschera la realtà della frammentazione del Paese. Consapevole di non poter ottenere l’appoggio dei due Parlamenti, di Tobruk e di Tripoli, Serraj si limita a svuotarli progressivamente dall’interno. Recluta i responsabili della città, delle tribù e delle milizie locali. La sua strategia è evidente. Prima deve consolidare il suo potere a Tripoli. Poi, lo espanderà verso la Cirenaica. Infine verso Sud. L’interrogativo è se il suo “periodo d’oro” potrà continuare, e se potrà ripristini una ragionevole unità del paese. Oppure se l’attuale “luna di miele” con in vari potentati libici cesserà. Le maggiori difficoltà non riguardano la distruzione dell’Isis, che in Libia non ha radici profonde, quanto l’ambizioso generale Khalifa Haftar, appoggiato dall’Egitto e anche dalla Francia. Si è consolidato riportando l’ordine a Bengasi.

Riuscirà Serraj a stabilizzare il Paese e a mantenerne l’unità? Finora l’Isis non è stato un fattore divisivo. Ha invece permesso un accordo fra Tripoli e Tobruk. Minaccia il potere di entrambi. La massa dei suoi miliziani è straniera, soprattutto tunisina, con l’eccezione di un nucleo duro di reduci libici dalla Siria e dall’Iraq. I suoi successi a Sirte, non sono derivati tanto dalla sua forza, quanto dalla debolezza dei suoi oppositori locali. Ha determinato un più deciso intervento degli Usa, del Regno Unito e della Francia. Fa eccezione dell’Italia. L’Isis non è la maggiore minaccia per il nostro Paese. L’immigrazione è più pericolosa. Può destabilizzarlo all’interno e nei suoi rapporti con l’Ue. Attacchi terroristici sarebbero comunque effettuati da giovani radicalizzati nostrani. Minore probabilità è che li facciano stranieri, anche perché essi si muoverebbero con maggiore difficoltà sul nostro territorio. E’ una fantasia affermare che il centro di gravità del Califfato si stia spostando in Libia e che quest’ultima possa essere trasformata in base per un attacco all’Europa. A differenza dell’Iraq e della Siria, l’Isis in Libia è un corpo estraneo alla società. Non può sfruttare lo scontro fra sunniti e sciiti, ma solo il vuoto di potere creato dalle rivalità fra Tripoli  e Tobruk e fra la miriade di milizie. I suoi sforzi in Africa settentrionale, così come gli attentati in Europa – che ispira o che sfrutta mediaticamente – tendono a compensare gli insuccessi che sta registrando in Medio Oriente. Forse pensa di destabilizzare la Tunisia – unico Stato in cui si può parlare ancora di “primavera araba” – il Sahel e l’Africa sub-sahariana, zone in cui è in concorrenza con le reti regionali di al-Qaeda.

Una capacità politico-strategica analoga a quella di Serraj e coordinata con lui è dimostrata dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Martin Kobler e dei suoi collaboratori, tra cui il generale Paolo Serra. Entrambi mantengono un basso profilo. Premono solo indirettamente sui libici, per indurli a sostenere Serraj. Cercano di non urtarne la suscettibilità. Sanno che un’unità imposta dall’esterno sarebbe impraticabile. Un intervento militare unilaterale è impossibile. Comunque aumenterebbe solo il caos. I libici sono sospettosi di ogni ingerenza straniera. Temono che sia finalizzata al controllo delle loro ricche risorse energetiche, le maggiori dell’intera Africa. C’è da augurarsi che la recente decisione di Parigi di riaprire l’ambasciata in Libia non complichi la situazione. Non sarebbe cosa nuova per la Francia. Finora, con l’Egitto, ha sostenuto il generale Khalifa Haftar, uomo forte di Tobruk. Usa e Regno Unito hanno invece concluso intese con le potenti milizie di Misurata, fortemente opposte alle ambizioni di Haftar di divenire un al-Sisi libico. Serraj non può fare a meno delle milizie di Misurata. Rappresentano una delle migliori carte di cui dispone. Il Congresso Generale Nazionale di Tripoli si sta sfaldando. Il suo leader Khalif Ghwell ha abbandonato Tripoli. La sua forza militare, denominata un tempo Alba Libica e già incentrata sulle milizie di Misurata, non esiste più.

La carta vincente di Serraj e di Kobler è rappresentata dal sostegno delle tre istituzioni che sono sopravvissute al vecchio regime: la Banca Centrale, l’Autorità degli Investimenti e la Compagnia Nazionale del Petrolio. Nonostante gli sforzi di Tobruk di creare loro duplicati posti sotto il suo controllo, i loro nuclei essenziali, rimasti a Tripoli, hanno raggiunto intese con Serraj. Le tre istituzioni finanziano tutte le fazioni. Dispongono quindi di un rilevante peso. Inoltre, possono essere condizionate dall’Onu con la minaccia di embarghi del petrolio e con condizionalità al recupero dei fondi congelati in banche estere o investiti in società straniere. Tale loro vulnerabilità è abilmente sfruttata da Martin Kobler per rafforzare Serraj. E’ riuscito a convincerle di dargli il controllo dei fondi. Può così condizionare le varie fazioni. Quelle che non lo sostengono, non riceveranno fondi. Saranno anche escluse dagli aiuti internazionali.

Ciò spiega perché Serraj stia rafforzando, oltre ogni previsione. Oltre un certo punto l’unità nazionale non sarà più solo una maschera. Altrettanto importante è quanto sta facendo il suo Comitato Temporaneo di Sicurezza. Sta organizzando l’embrione delle Forze Armate e di Polizia libiche. Una volta che si sarà ragionevolmente rafforzato, Serraj potrà chiedere un intervento internazionale per l’addestramento e l’equipaggiamento delle sue forze di sicurezza e forse anche ad operazioni di stabilizzazione, in priorità contro l’Isis per non incidere sui delicati equilibri interni della Libia. Si porrà allora anche il problema dell’ordinamento della Libia. Se sarà federale oppure se il paese si frammenterà nelle sue regioni storiche, come recentemente suggerito da Paolo Scaroni, persuaso che una divisione renda più praticabile la stabilizzazione del paese e diminuisca il rischio di una lunga guerra civile. Il Muftì di Tripoli, criticando Serraj per scarso rispetto della sharia, ha minacciato una lunga jihad di lui e contro il governo imposto dagli stranieri. C’è da augurarsi che Allah non faccia scherzi e che la meritoria opera di Serraj prosegua senza intoppi.

Fayez Serraj, Libia, trenta

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