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Nel 1950 l’Italia con 47 milioni di abitanti era al decimo posto tra le nazioni del mondo quanto a popolazione. Nel 2025 non sarà neppure tra le prime venti. Nel 1950 ben quattro paesi europei (Urss, Germania, Regno Unito e Italia) erano tra i primi dieci. Nel 2025 vi sarà la sola Russia. Per trovare un altro Paese tra i primi venti bisognerà accontentarsi della Germania al diciannovesimo posto. L’Unione europea non possiede più un “motore demografico”.

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La quota di popolazione con 60 e più anni (che ora ha un’attesa di vita pari a 21 anni se uomo e a 25 se donna) era pari al  26%  dieci anni or sono e salirà al 41% nel 2050 (+39%), quando gli Usa raggiungeranno solo a metà secolo la quota di ultrasessantenni che l’Italia annovera adesso.

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Per quanto concerne l’attesa di vita i grafici si impennano. Alla nascita: per gli uomini da una media di 76,7 nel 2010 a 84,6 anni cinquant’anni dopo (in Italia da 78,9 a 81,1); per le donne, rispettivamente da 82,5 a 89,1 (in Italia da 84,2 a 89,7). A 65 anni, tra mezzo secolo gli uomini (nella UE) vivranno in media altri 22,4 anni, le donne 25,6 anni (in Italia rispettivamente 22,9 e 26,1).

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La risorsa immigrazione continuerà a colmare i deficit demografici, ma con una tendenza al rallentamento: da poco più di un milione all’anno nel 2010, a 1,3 milioni nel 2020, a 945mila nel 2060. In tutto il periodo considerato gli immigrati arriveranno ad oltre 60 milioni di cui quasi 46 nell’Eurozona.

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Considerando  il tasso di dipendenza in termini assoluti (mettendo al numeratore, oltre agli anziani, anche i giovani  fino a 14 anni e al denominatore la popolazione in età di lavoro), il rapporto passerebbe dal 43,3% al 77,9% nel 2060. In sostanza, per ogni 100 persone in età di lavoro ben 78 sarebbero a loro carico.

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In tale contesto le politiche di invecchiamento attivo (e dell’innalzamento dell’età effettiva di pensionamento) sono un’esigenza primaria del mercato del lavoro. Non a caso i Paesi più avveduti come la Germania e l’Olanda (dove nel 2050 il 52% della popolazione avrà più di 65 anni) sono stati in grado di affrontare questa fase di crisi sostenendo l’invecchiamento attivo come asse strategico e componente fondamentale di una più ampia azione per la promozione dello sviluppo del capitale sociale e delle risorse umane.

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