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Ci sono voluti due giorni di ordinaria follia mediatica contro il compensato attorno ai nudi marmorei dei musei capitolini, in occasione della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani, perché si sentisse finalmente un’assennata stecca nel coro. E’ quella di Mario Ajello sul Messaggero, che ha compreso e condiviso la decisione, da chiunque presa, di coprire per qualche ora quelle statue per riguardo all’ospite: “Un successo diplomatico”. Altro che la “sciocchezza incomprensibile” lamentata dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, o la “profanazione laica” deplorata dall’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli in un commento sull’Unità di conio renziano, allineatasi alle proteste per accreditare, evidentemente, lo stupore critico espresso dal presidente del Consiglio.

In effetti, lo scandalo, più che nel compensato sta nell’indignazione che la vicenda ha provocato. E che ha intimidito a tal punto Matteo Renzi da fargli dimenticare e contraddire il coraggio, spesso al limite dell’imprudenza, mostrato in due anni di governo.

Mi chiedo che cosa abbiano veramente tolto a quelle statue, e alla storia che rappresentano, le poche ore di oscuramento, diciamo così, subite per un gesto non di sottomissione – diciamo la verità – ma di riguardo verso l’ospite. Al quale, con le scomposte reazioni a quell’iniziativa, si è offerta peraltro l’occasione di dare una lezione sorprendente per il livello di democrazia praticato in Iran.

La lezione di Rouhani è stata d’ironica signorilità, da una parte declassando ad un affare puramente giornalistico l’incidente e dall’altra apprezzando l’ospitalità ricevuta dalle autorità italiane, che intanto negavano il merito attribuito loro dal presidente dell’Iran e si esibivano in uno scombinato scaricabarile e annuncio di inchieste per individuare il responsabile dell’accaduto. O la responsabile, visto che nel mirino è finita soprattutto la dirigente dell’ufficio del cerimoniale di Palazzo Chigi, Ilva Sapora. Che, essendo vicinissima alla pensione, si presta al ruolo del classico capro espiatorio, provvidenziale per i suoi superiori amministrativi e politici.

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Anche se la signora Sapora, a dispetto delle voci su una sua resistenza, che sarebbe condivisibile, accettasse di chiudere la carriera col sacrificio di un’ammissione di colpa, magari assaporando – in linea con il suo cognome – chissà quale contropartita, sul presidente del Consiglio rimarrebbe il sospetto di una fuga dalle sue responsabilità politiche. Un sospetto avvalorato dalla circostanza per lui diabolicamente sfortunata di un analogo gesto di cortesia diplomatica, se non di “successo”, compiuto alla sua per niente imbarazzata presenza l’anno scorso a Firenze dall’amico e successore a sindaco in occasione della visita di uno sceicco. Al quale fu risparmiata la vista di un nudo scultoreo, coperto da un pannello gigliato. A meno che non si voglia speciosamente sostenere che quel nudo non meritasse il rispetto reclamato per le statue capitoline a causa di un minore valore artistico, essendo di confezione moderna, e per giunta scolpito dall’ex marito ungherese della prima e unica deputata pornostar della Repubblica italiana: la famosa Ilona Staller, ancora più nota però come Cicciolina, ungherese pure lei, candidata nel 1987 dal fantasioso Marco Pannella, eletta nel Lazio con ventimila voti di preferenza e distintasi subito nell’aula di Montecitorio per avere fatto sobbalzare sui banchi del governo l’allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti chiamandolo Cicciolino.

Secondo il mio modestissimo parere, Renzi avrebbe fatto, e farebbe ancora una figura migliore se, magari di ritorno dall’incontro conviviale avuto a Berlino con la cancelliera Angela Merkel, trovasse il tempo per assumersi la responsabilità, quanto meno cognitiva, dei compensati capitolini e tornare all’immagine a lui più consona, e apprezzata dagli elettori nuovi che vorrebbe conquistare, del giovane e virile presidente del Consiglio, portato più alle sfide che alle fughe, più a rilanci che ai ripiegamenti.

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Purtroppo temo che Renzi neppure di ritorno da Berlino, e prima di fare l’annunciato salto a Ventotene per onorare la memoria dell’europeista Altiero Spinelli, cui è stato contrapposto dai critici della sua svolta muscolare nei rapporti con Bruxelles e dintorni, vorrà trovare il tempo e il coraggio di chiudere come si conviene l’affare dei compensati capitolini.

Non troverà questo coraggio, così come non ha avuto e non ha quello di chiamare col nome del vecchio e consolidato linguaggio politico le nuove nomine e gli spostamenti effettuati nel suo governo per coprire i vuoti creatisi nei mesi scorsi, e riequilibrare soprattutto i rapporti con il sofferente partito di Angelino Alfano. Al quale è stata concessa, fra l’altro, la promozione di Enrico Costa da vice ministro della Giustizia a ministro degli Affari regionali con delega anche per la famiglia, anche se le due materie non si possono proprio considerare affini.

Una volta queste operazioni nel governo si chiamavano rimpasti. Ma la parola è stata bandita come turpiloquio. Renzi, secondo il titolo usato dall’Unità, non ha rimpastato ma “sistemato” il suo governo. Va bene. La modernità è sistemata, anch’essa.

Che combina Renzi fra Merkel, Rouhani e Alfano

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