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Le fortune militari dell’Isis (Daesh in arabo) sembrano finite. Le sue forze sono sotto attacco ovunque: in Iraq, in Siria e in Libia. Le sue capacità di finanziamento sono state duramente colpite. Ha dovuto diminuire le paghe ai suoi combattenti e aumentare le tasse, per compensare il crollo del contrabbando di petrolio e i sempre minori finanziamenti che riceve dai paesi del Golfo. E’ diminuito l’afflusso dei foreign fighters. Sono aumentate le diserzioni. Molti dei suoi capi e combattenti più capaci sono stati eliminati. Gli rimane un nucleo duro di fanatici pronti a suicidarsi con autobombe.

LA CRISI SIRIANA E IL SETTARISMO IRACHENO 

La sua crisi è maggiore in Siria, dove pochi siriani lo hanno raggiunto, preferendogli altre formazioni d’insorti contro il regime di Assad. L’offensiva contro la sua capitale, Raqqa, è ferma da mesi, soprattutto per i contrasti fra arabi e curdi, e per l’incapacità degli Usa di appoggiare completamente i secondi per timore di inimicarsi la Turchia. In Iraq, malgrado la perdita di Tikrit e di Ramadi, l’inizio dell’attacco a Falluja e il parziale accerchiamento di Mosul, la situazione per Daesh è migliore. Può sfruttare l’odio esistente fra sunniti e sciiti, dopo l’emarginazione dei primi da parte del governo di Nouri al-Maliki e il timore di gran parte dei sunniti di subire nuove rappresaglie da parte del governo di Baghdad, dove gli sciiti rimarranno maggioritari. Anche in Iraq esiste una forte rivalità fra arabi e curdi.

Essa ha ritardato l’attacco a Mosul. Anche i sunniti temono le violenze di cui sono stati oggetto da parte dei peshmerga. Temono che la conquista di Kirkuk e dei suoi ricchi giacimenti petroliferi non abbia soddisfatto gli appetiti territoriali dei curdi iracheni e che questi ultimi intendano vendicarsi, non appena se ne presentasse l’occasione, dei massacri subiti da Saddam Hussein. I tentativi Usa di creare un certo equilibrio fra sunniti, sciiti e curdi, armando le milizie tribali dei primi e sponsorizzando la loro presenza nei ranghi dell’esercito iracheno, non hanno per ora avuto successo. I sospetti e i timori dominano sulla volontà di cooperazione. Molto dipenderà dal destino della popolazione di Falluja, una volta che la città verrà conquistata. Se subirà, come avvenuto a Tikrit, le vendette delle milizie sciite, le divisioni in Iraq si accentueranno. Inoltre, senza la collaborazione fra curdi e sunniti, rimarrà impraticabile la riconquista di Mosul, che darebbe un colpo forse mortale all’Isis.

(Prima parte di un’analisi più ampia, la seconda parte sarà pubblicata domenica 5 giugno)

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