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Durante la Resistenza i partigiani non sapevano neppure se la democrazia per la quale si stavano battendo fosse destinata ad assumere la forma repubblicana o quella monarchica: una parte di loro, del resto, era dichiaratamente monarchica.

E avevano idee molto diverse tra loro circa il modo in cui avrebbe dovuto funzionare il nuovo Parlamento: era un partigiano anche Giuseppe Dossetti, che nell’Assemblea costituente avrebbe criticato aspramente la scelta di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti in favore di un bicameralismo perfettamente simmetrico, finalizzato a frenare l’incisività dell’azione del Governo.

Così come era un partigiano anche Charles De Gaulle, ideatore e poi fondatore di una originale forma di semi-presidenzialismo, che ha dato complessivamente ottima prova in Francia nell’ultimo mezzo secolo. La riforma gollista venne accusata da sinistra, anche in casa nostra, di favorire derive autoritarie; ma senza di essa né Mitterrand né Hollande avrebbero potuto aspirare a governare la Francia.

Per altro verso, un padre della nostra democrazia quale fu Gaetano Salvemini che definì la Carta appena approvata dall’Assemblea Costituente come “un’alluvione di scempiaggine”. Insomma, si può aborrire sinceramente il nazi-fascismo, e tuttavia pensarla in modi molto diversi circa i contenuti della Costituzione. La forza della Resistenza consistette proprio nell’unità tra tutti gli oppositori del nazi-fascismo, quale che fosse la loro idea circa il migliore assetto istituzionale futuro. Di questa unità l’ANPI dovrebbe essere oggi custode e promotrice. La sua scelta di vietare ai propri iscritti di partecipare alla campagna elettorale per il “Sì” nel referendum di ottobre è l’esatto contrario: significa che all’ANPI, se fossero ancora vivi, non potrebbero iscriversi oggi molti di coloro che la lotta al nazi-fascismo la fecero in prima fila e senza i quali la nostra Costituzione non avrebbe mai visto la luce.

Articolo tratto dal sito di Pietro Ichino.

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