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In questo periodo pre-referendum, gli investitori devono fare i conti con una notevole dose di incertezza nelle loro decisioni quotidiane. Se il referendum porterà all’uscita dall’Unione europea, penso che gran parte di tale incertezza proseguirà sul medio termine, fintanto che non sarà chiaro quale forma avrà il mondo post-Brexit.

Nel caso di un voto favorevole all’uscita, il governo britannico dovrà chiedere di lasciare l’Unione Europea nel rispetto dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea. Il Regno Unito e l’UE avranno due anni di tempo, decorrenti dalla data di tale richiesta, per negoziare un accordo di uscita. Per gli investitori, un aspetto cruciale di tali trattative è costituito dal grado di accesso ai mercati UE che sarà lasciato al Regno Unito e da quali accordi e trattati commerciali potranno essere negoziati con i paesi extra-UE.

LA POLITICA DIETRO LA BREXIT 

Il primo ministro britannico David Cameron e il governo Conservatore fanno campagna affinché il Regno Unito rimanga nell’Unione. Anche i Laburisti e i Liberal Democratici, ossia gli altri partiti politici maggiori, sono orientati in tal senso. Tuttavia, Boris Johnson, il sindaco conservatore di Londra, e un numero considerevole di ministri conservatori del parlamento, fanno campagna per l’uscita dal blocco europeo. Il movimento pro-Brexit non rappresenta un sentimento nuovo. Cominciò infatti a prendere piede già a metà degli anni 90, con la costituzione del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP). Oggi, l’UKIP e il Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord sono gli altri due partiti politici a favore dell’uscita dall’UE.

VANTAGGI E SVANTAGGI

L’eccessiva burocrazia figura tra le maggiori problematiche che la lobby pro-Brexit attribuisce all’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea, seguita dalle frontiere aperte nei confronti del resto dell’UE e dal numero indesiderabile di immigrati e, infine, dai contributi obbligatoriamente corrisposti dal Regno Unito a Bruxelles. Infine, vi sono timori legati ad un’integrazione sempre maggiore con l’Europa, alla perdita di sovranità e alla creazione di un “super stato” europeo.

POSSIBILI VANTAGGI DERIVANTI DALLA BREXIT

Minor regolamentazione, risparmi sui contributi europei, possibilità di stringere nuovi accordi commerciali, politica di immigrazione basata sulle competenze.

POSSIBILI SVANTAGGI DERIVANTI DALLA BREXIT

Perdita di accesso al mercato unico, possibili tariffe sulle esportazioni nei confronti dell’UE, danni all’industria finanziaria, calo degli investimenti dettato dall’incertezza.

Secondo la lobby a favore della permanenza del paese in Europa, il Regno Unito non dovrebbe uscire dall’Europa perché non avrebbe più accesso al mercato unico europeo e lo standing della City e di Londra come centro finanziario mondiale potrebbe essere pregiudicato; a ciò si aggiunga un forte timore legato all’incertezza e all’ignoto. Esiste pertanto il desiderio di mantenere lo status quo.

Prima di annunciare il referendum lo scorso 21 febbraio, David Cameron si era prodigato con gli altri leader europei per presentare una proposta che potesse mitigare alcuni dei timori espressi dai fautori della Brexit.

Tra gli aspetti chiave di tale accordo, vi è la possibilità per il Regno Unito di sospendere i benefici previdenziali nei confronti dei nuovi lavoratori immigrati in periodi di immigrazione eccezionale. In secondo luogo, l’accordo stabilisce che i trattati europei saranno riscritti per dichiarare espressamente che il concetto di unione sempre più stretta non si applicherà più al Regno Unito. In terzo luogo, è prevista la cosiddetta salvaguardia unilaterale, ossia il dovere dei leader europei, laddove il Regno Unito ritenga che le norme o i regolamenti europei siano dannosi, di riunirsi e discutere del problema. Tale parte dell’accordo era intesa specialmente a tutelare il settore finanziario di Londra. Tuttavia, sebbene l’accordo preveda delle concessioni, non penso che sarebbe percepito come rivoluzionario, e probabilmente non cambierà l’orientamento degli elettori il prossimo 23 giugno.

REFERENDUM PASSATI TENUTISI NEL REGNO UNITO

Questa non è la prima volta che il Regno Unito è chiamato a votare sulla permanenza nell’Unione europea. Nel 1975, il 67 per cento della popolazione votò per restare nell’UE mentre il 33 per cento votò per uscire. Nel 2014, la Scozia ha votato sulla sua indipendenza. In questo caso, i risultati furono molto meno netti: il 45 per cento votò per uscire dal Regno Unito, mentre il 55 per cento per restare nel paese. Le elezioni in Scozia registrarono un’affluenza record dell’85 per cento. Sulla base dei recenti sondaggi condotti nelle ultime settimane in tutto il Regno Unito, sembra che il voto del referendum sull’Europa avrà risultati ugualmente poco netti.

IMPLICAZIONI PER I MERCATI

I mercati tendenzialmente non amano l’incertezza. La sterlina è stata e probabilmente rimarrà il principale ammortizzatore del rischio Brexit, sia prima del referendum che in caso di voto favorevole all’uscita. Da quando è stato annunciato il referendum, e a differenza dei grandi movimenti che hanno interessato la sterlina, i rendimenti dei Gilt (i titoli di stato del Regno Unito) sono cresciuti molto lievemente sulle scadenze a due, cinque e dieci anni. Anche nell’ipotesi Brexit, ritengo sia improbabile che i Gilt divengano un asset a rischio di credito, poiché non esistono rischi imminenti di solvibilità per il governo britannico legati all’uscita dall’Europa. Tuttavia, l’uscita creerebbe sicuramente incertezza economica nonché potenziali rischi per la crescita e l’inflazione. Pertanto, è probabile che i Gilt continueranno a riflettere tali tradizionali premi per il rischio.

MERCATO IMMOBILIARE BRITANNICO

Il Regno Unito rimane il più grande mercato per gli investimenti immobiliari in Europa. I capitali di investimento continentali giocano un ruolo marginale nei flussi d’investimento complessivi. Ciò è stato particolarmente vero a seguito della crisi globale. Nello scenario peggiore, però, molti dei possibili rischi della potenziale Brexit per il mercato immobiliare nel Regno Unito avrebbero un impatto negativo sul mercato direzionale del West End e della City di Londra. Molte sedi europee sono ubicate nel West End, e molti uffici nella City sono affittati a società di servizi finanziari. Entrambe le location potrebbero vedere gli affittuari trasferirsi nell’Europa continentale. Al contrario, Parigi e Francoforte in particolar modo, potrebbero trarre vantaggio da tale situazione e vedere un afflusso di nuova domanda di immobili in affitto.

(Qui l’intero articolo)

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Di Sam Martin

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