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La nuova Libia prende forma, tra vecchie e nuove difficoltà che riguardano sia la stabilità interna sia l’influenza di potenze regionali sul Paese. Dopo l’accordo politico per la formazione di un governo di concordia nazionale, oggi il primo ministro libico designato, Fayez Al Sarraj, è stato ricevuto a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Si tratta della sua prima visita europea dopo la firma dell’intesa avvenuta il 17 dicembre scorso a Skhirat, in Marocco, tra le due principali assemblee in contrapposizione per il controllo del Paese, Tripoli e Tobruk.

MATTEO RENZI INCONTRA FAYEZ AL SARRAJ. LE FOTO DI PALAZZO CHIGI

L’ACCORDO

La svolta è arrivata a quattro anni dalla deposizione di Muammar Gheddafi, a un anno e mezzo dall’inizio del conflitto interno e a pochi giorni dalla conferenza organizzata a Roma dalla diplomazia italiana col sostegno di Washington. L’intesa, aveva raccontato Formiche.net, “ha creato un comitato di Presidenza di cui fanno parte 6 personalità che erano già state indicate dall’Onu (Al Sarraj, i tre vicepremier Ahmed Maetig, Fathi Majbri e Musa Koni, e i due ministri Omar Aswad e Mohamed Ammar). Nel frattempo si sono aggiunti altri 3 uomini politici, due in rappresentanza del Fezzan, il sud della Libia, e uno della Cirenaica, la parte orientale. Adesso questo comitato di presidenza dovrà formare la lista dei ministri che costituiranno il governo vero e proprio, ed entro 40 giorni il governo dovrà insediarsi a Tripoli”.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Se un nuovo governo dovesse alla fine nascere, per diversi osservatori potrebbe arrivare il tempo per una missione internazionale a guida italiana, per addestrare e sostenere le forze di sicurezza libiche. Un obiettivo urgente e necessario, concordano le parti e molti altri Paesi, dal momento in cui i jihadisti dello Stato islamico iniziano a mettere radici anche nella nazione nordafricana. La Penisola si candida ad essere punto di riferimento nel percorso politico del Paese nordafricano. E il premier Renzi lo ha evidenziato di nuovo oggi: “La nuova Libia – spiega una nota di Palazzo Chigi – potrà contare sul deciso sostegno che l’Italia, in coordinamento con la comunità internazionale, intende assicurare per la riabilitazione dei servizi essenziali, la creazione di solide premesse per lo sviluppo economico e sociale nonché per la stabilizzazione del Paese, con particolare riferimento alla lotta al terrorismo e al traffico di esseri umani. L’Italia è pronta a rispondere con tempestività, e nel necessario quadro di legalità internazionale, alle eventuali richieste di assistenza che la Libia dovesse rivolgere.

LE TENSIONI CON LA FRANCIA

Tutto in discesa? Non proprio. Su un piano europeo, Roma – svela oggi sulla Stampa Paolo Mastrolilli – ha dovuto faticare non poco per contenere l’attivismo di Parigi che avrebbe rischiato di compromettere l’intero processo negoziale supportato invece dall’Italia. “All’inizio di dicembre era stato… il premier francese Manuel Valls ad ipotizzare l’estensione alla Libia delle operazioni che la coalizione guidata” dagli Usa “conduce già in Siria e Iraq. L’Italia aveva frenato, attraverso contatti avvenuti anche a Washington sul piano diplomatico, e tra i vertici dei rispettivi apparati di intelligence”. La ragione di questa prudenza, rimarca Mastrolilli, era proprio nel fatto che “azioni non coordinate rischiavano di complicare il quadro, invece che di chiarirlo, rendendo molto più difficile la mediazione dell’Onu per creare un governo di unità nazionale” e col rischio, aggiuntivo, di rafforzare le componenti jihadiste nel Paese, l’Isis, ma anche Ansar al Sharia.

LE ALTRE DIFFICOLTÀ

Questo scenario, già di per sé complesso, va collocato poi in un quadro più ampio, in cui c’è lo Stato islamico a guadagnare posizioni ma, soprattutto, ci sono ingerenze esterne delle potenze regionali. Quest’ultime sono una delle cause più forti della crisi che attanaglia la nazione nordafricana, che ha dato vita nel tempo a una guerra per procura combattuta nell’ex regno di Muammar Gheddafi. In Libia, le due macro-fazioni che si contendono il Paese sono sostenute da un lato da Turchia e Qatar e dall’altro da Egitto ed Emirati Arabi Uniti. I primi sostengono il vecchio parlamento, il Gnc; i secondi Tobruk. E per Cinzia Bianco, analista esperta di Medio Oriente e Mediterraneo per la Nato Defense College Foundation, non è ancora chiaro come reagiranno a questo accordo, al di là dei proclami. “Le milizie che si oppongono all’intesa lo fanno anche perché temono di perdere interessi consolidati in questo periodo di caos. Ma rispetto a qualche tempo fa c’è stata un’ulteriore evoluzione”. Non regge più, secondo l’analista, la lettura di Tripoli contro Tobruk. “È vero che la parte di Tripoli è quella che ci perde di più ed è quella più difficile da convincere, anche perché l’impianto del nuovo governo proposto dal nuovo inviato Martin Kobler resta lo stesso a cui ha lavorato Bernardino León, screditato dalle mail che ne hanno evidenziato totale parzialità. Ma anche dall’altro lato sembrano esserci delle crepe. Basti pensare che gli Emirati Arabi non erano presenti alla firma in Marocco. Un’assenza che pesa e che, forse, insieme ad altri elementi, lascia immaginare che in entrambi i macro-schieramenti si stiano creando spaccature”. Probabilmente, conclude la Bianco, “il governo nascerà, quanto meno per lanciare un segnale e consentire di procedere con una missione internazionale che provi a mettere in sicurezza il Paese. Ma le resistenze, anche con la formazione del nuovo esecutivo, non mancheranno”.

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