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Nella lunga, abituale e stavolta fredda conferenza stampa di fine anno – fredda però per una curiosa disattivazione o riduzione del riscaldamento nell’ambiente della Camera che l’ospitava – Matteo Renzi non ha certamente deluso le aspettative degli avversari e dei critici, esterni e interni al suo partito. Egli ha dato loro appuntamento per una sostanziale resa dei conti a metà ottobre prossimo, quando “immagina” che si svolgerà il referendum cosiddetto confermativo sulla riforma costituzionale. Che sta per affrontare i suoi ultimi e ormai formali passaggi tra Montecitorio e Palazzo Madama.

Se dovesse perdere quel referendum, per il quale è opportuno ricordare che non esiste il cosiddetto quorum di partecipazione, per cui varrà semplicemente il verdetto della maggioranza di quanti andranno alle urne, molti o pochi che saranno, il presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico considererebbe “fallita” la sua “esperienza politica”. Un po’ come fece nel 1985 l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi alle prese con un referendum pur tanto diverso, e protetto dal quorum della partecipazione di almeno la metà degli aventi diritto al voto: quello abrogativo dei tagli antinflazionistici da lui apportati alla scala mobile dei salari.

“Se perdo, mi dimetto un minuto dopo”, avvertì il leader socialista in una conferenza stampa improvvisata a Palazzo Chigi negli ultimissimi giorni della campagna referendaria. Vinse. Persero i suoi avversari dichiarati, che erano i comunisti, ma anche quei democristiani di sinistra che, pur presenti nel governo e nella maggioranza, speravano che lui perdesse. Cosa che accadde curiosamente – come lo stesso Craxi maliziosamente osservò – nel piccolo paese campano dell’allora segretario della Dc Ciriaco De Mita: Nusco. Di cui curiosamente l’ormai anziano De Mita è ora sindaco.

A metà ottobre, come nel 2016, ma del lontanissimo 42 avanti Cristo, si svolse anche la battaglia storica di Filippi, in Grecia, dove il fantasma di Giulio Cesare, secondo la fantasia di Plutarco destinata ad essere ripresa nella più famosa opera di Skakespeare, aveva dato appuntamento a Bruto, che lo aveva ucciso a Roma. E che in quella battaglia fu ucciso dal vendicatore di Cesare: Antonio.

Renzi ha il gusto, forse, di scegliere alla grande, anche simbolicamente, le sue occasioni. Non gli manca certamente l’ambizione. E, bisogna ammetterlo, neppure il coraggio, che non hanno tutti gli ambiziosi. Molti dei quali preferiscono più l’astuzia o il temporeggiamento che l’affondo.

Invitato a pronunciarsi sui sondaggi che oggi favoriscono più Beppe Grillo che lui, sceso di una decina di punti rispetto al quasi 41 per cento dei voti raccolto nelle elezioni europee di un anno e mezzo fa, Renzi non si è trattenuto da un’altra sfida. Si è detto convinto che, a dispetto dei sondaggi, egli possa vincere le prossime elezioni anche in prima battuta, senza neppure ricorrere al ballottaggio contemplato dalla nuova legge nel caso in cui il partito più votato si fermasse sotto la soglia del 40 per cento dei voti.

Dei leghisti neppure a parlarne. Il presidente del Consiglio se n’è occupato, per respingerne gli attacchi che sta ricevendo anche per l’affare delle banche, solo per ricordare il fallimento della loro, di banca. Già, perché la Lega allora guidata da Umberto Bossi volle fornirsi anche di un istituto bancario.

Di Berlusconi, si può dire che il presidente del Consiglio non si sia occupato, se non per ricordarne fuggevolmente la crisi dimostrata dalle continue defezioni da Forza Italia.

Le sfide di Renzi si sono ripetute anche a livello europeo e, più in generale, mondiale. Egli è tornato, fra l’altro, a rinfacciare ai tedeschi di reclamare nella gestione dell’Unione Europea una rigidità da loro non rispettata, con il consenso anche dell’allora governo italiano guidato da Berlusconi, quando avevano bisogno di derogarvi. Il rapporto “personale” con la cancelliera tedesca Angela Merkel è “splendido”, ha assicurato il presidente del Consiglio. Ma ciò non gli impedirà di far sentire la voce e le ragioni dell’Italia negli appuntamenti che lo attendono a Bruxelles per l’applicazione di una “flessibilità” nei conti prevista dagli stessi accordi comunitari, ma da molti accettata solo a parole.

Nelle battute finali della conferenza stampa Renzi ha affrontato anche il tema delle pensioni, da una parte assicurando che “non saranno toccate” nel 2016, ma dall’altro promettendo che ogni intervento sarà discusso poi con “trasparenza” e ragionevolezza. E invitando a non scambiare per “pensioni d’oro” quelle di duemila euro nette al mese, Per cui si potrebbe pensare che quelle superiori a questa consistenza, anche se non dovessero raggiungere i livelli scandalosi dei 90 mila o 70 mila euro lordi, sempre mensili, emersi dai conti dell’Inps, potrebbero prima o poi pagare dazio, diciamo così, alle forbici reclamate dal presidente dello stesso Inps, Tito Boeri.

La scommessa (craxiana) di Matteo Renzi

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