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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Giorgio Ponziano apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Il grande mediatore. Stefano Bonaccini sfodera la bonomìa emiliana al contrario di Sergio Chiamparino che ha nel sangue la protervia sabauda. Quest’ultimo ha sbattuto la porta in faccia a Matteo Renzi, confermando le dimissioni da presidente della Conferenza delle Regioni, uno strappo non da poco da parte di uno della vecchia guardia che aveva salutato con osanna la presa del potere da parte del cerchio magico renziano.

Il fatto è che Renzi di fronte alle dimissioni non s’è scomposto più di tanto e questo atteggiamento ha messo ancor più di cattivo umore Chiamparino, fino a fargli confessare a qualche collaboratore che potrebbe anche decidere di darci su, cioè di non ricandidarsi alla presidenza del Piemonte.

Del resto che egli abbia nel mirino il governo del suo ex-amico Renzi non lo manda a dire: «Non mi pare che presentare delle esigenze sia una proposta eversiva. O le cifre che noi portiamo vengono dimostrate fasulle, e finora nessuno lo ha fatto, oppure non c’è dubbio che una risposta alle Regioni debba essere data. Nel 2016, sommando le misure derivanti dalle leggi di stabilità del passato e dalle leggi di settore, si arriva a 9 miliardi e mezzo di euro di tagli a carico delle Regioni. La situazione sul pluriennale è poi particolarmente preoccupante con altri cinque miliardi nel 2017 e sette nel 2018. I margini di manovra delle Regioni si vanno esaurendo».

Renzi ha fatto spallucce e dal cappello ha tirato fuori il successore, appunto Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna. Lo aveva voluto in segreteria, unico della vecchia guardia, dopo che egli aveva coordinato con successo la sua campagna nelle primarie. Poi Bonaccini è tornato nella sua regione per tamponare la falla delle dimissioni di Vasco Errani (coinvolto in un’inchiesta giudiziaria, tuttora in corso tra condanne e assoluzioni, per un contributo regionale a favore di una cooperativa presieduta dal fratello). Il Pd ha registrato, alle regionali dello scorso anno, nella sua regione-simbolo una frana elettorale considerevole e Bonaccini è stato eletto con appena il 30% dei voti degli emiliano-romagnoli. Adesso si dovrà cimentare nel non facile compito di rabbonire le Regioni, quasi tutte in ebollizione per i tagli della legge di stabilità, e portarle alla pace col premier. S’è già messo al lavoro e certo non ha l’irruenza di Chiamparino.

Bonaccini si è già messo al lavoro e certo non ha l’irruenza di Chiamparino. Dà un colpo al cerchio e uno alla botte, come deve fare un grande mediatore. Al governo, dice: «Mi auguro comprenda che c’è bisogno di un riposizionamento di una parte di quelle risorse, di una loro precisazione per evitare che l’aumento del Fondo sia superato dai costi già previsti». Poi, però, bacchetta anche le Regioni: «Vorrei ricordare che stiamo parlando di un provvedimento che sta dentro a una legge di stabilità che, per la prima volta, è espansiva e abbassa le tasse ai cittadini. Non dimentichiamo che per la sanità c’è 1 miliardo in più rispetto all’anno scorso (111 miliardi complessivi) e che sono previste misure che consentiranno concreti risparmi, come le centrali uniche di acquisto e l’efficientamento degli ospedali».

Bonaccini è stato tra i protagonisti dell’incontro tra Renzi e i presidenti delle Regioni che si è svolto ieri, quel po’ che si è riusciti a ricucire (al di là delle dichiarazioni ufficiali) è merito suo. Del resto la sintonia con Renzi è confermata da una delle iniziative prese all’inizio del mandato: ha affidato all’università di Bologna il compito di realizzare un Libro bianco sulla spending review della Regione. Più o meno l’incarico che il presidente del consiglio affidò a Carlo Cottarelli, salvo poi «licenziarlo» due anni prima del previsto mettendo nel cassetto i provvedimenti da lui suggeriti. I Cottarelli dell’Emilia-Romagna fotografano una situazione che dà ragione a Renzi quando lancia j’accuse verso la spesa regionale. I ricercatori annotano che l’elefante-regione Emilia-Romagna (3.800 dipendenti inamovibili) ha una spesa di funzionamento sovradimensionata («dopo aver depurato il bilancio da volumi finanziari che si limitano quasi solo a transitare dalla Regione si vede che i costi di funzionamento sono notevoli in rapporto alla spesa effettivamente amministrata») e incontrollata («c’è una resistenza verso la cultura empirica della valutazione»), che con una migliore organizzazione potrebbe essere assai ridotta.

Ci sono impegni che le Regioni, sostiene Bonaccini, dovrebbero fare propri: «dobbiamo, tutti, fare la nostra parte – dice- per razionalizzare i servizi improduttivi, per centralizzare quei servizi che non hanno un impatto diretto sui cittadini. Dobbiamo rimboccarci tutti le maniche se vogliamo mettere in condizione il Paese di porre in sicurezza la sanità anche per gli anni a venire. Meno burocrazia, meno costi inutili, meno sprechi. Solo così potremo fare davvero buona sanità».

Insomma, Bonaccini da futuro presidente della Conferenza delle Regioni invita i suoi colleghi a stringere la cinghia. Da parte sua è disposto a collezionare incarichi, intrecciando istituzioni e partito, come Renzi. Dice: «Sto ricoprendo un bell’incarico, quello di presidente di Regione, faticoso ma affascinante. Tutti sanno che dovevo andare a ricoprire un’altra posizione a livello centrale del Pd, ma poi le dimissioni di Vasco Errani mi hanno portato a candidarmi alle regionali. In futuro può darsi che accetti un incarico in segreteria nazionale e questo perché vedo un Pd più debole sul territorio. Quindi se Renzi mi chiama sono disponibile».

Bonaccini ha 48 anni, sposato e padre di due figli, da sempre in politica. Primo incarico nel 1990, assessore nel Comune di Campogalliano (Modena). Poi, gradino dopo gradino, è arrivato alla segreteria regionale del Pd, al consiglio regionale e ancora fino alla segreteria nazionale e alla presidenza della Regione. Adesso è uno dei pidiessini di punta e Renzi gli ha affidato il compito di renzianizzare le Regioni. Lui, del resto, stravede per il suo leader: «tutti gli indicatori economici mostrano che il Paese sta uscendo dalla recessione e penso che in un triennio potremmo realizzare una performance persino migliore di quella della Germania. Gran parte del merito va al governo».

La sua ascesa a presidente dell’Emilia-Romagna ha consentito a Renzi di normalizzare una regione che era fortemente bersaniana. Ora si levano solo voci isolate di contestazione, come quella del consigliere comunale pidiessino di Reggio Emilia, Dario De Lucia: «Secondo la logica del presidente della Regione Stefano Bonaccini e di tanti altri dirigenti Pd, la dirigenza Pd può fare quello che vuole e i suoi iscritti o militanti del centrosinistra dovrebbero solo stringersi sulle scelte del governo e dell’amministrazione perché l’alternativa è Grillo o Salvini. La logica dell’accettare a prescindere altrimenti vince l’altro in politica non ha (quasi) mai funzionato. Se alcune forze non guardano più a noi come alleati o come soluzione e invece pensano che noi siamo il problema si crea un gap in negativo. Ribalto il punto di vista, se fossero le scelte del governo e della dirigenza Pd ad aumentare l’astensione e far perdere consensi? Decidiamo in fretta perché l’età media di un tesserato Pd (molti under 50 non si sono reiscritti) si avvicina ai 70 anni».

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