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L’Italia ha finalmente una legge sulle unioni civili. Nello stesso giorno in cui il Senato approva la manovra, il gruppo di Denis Verdini, ALA, vota per la prima volta la fiducia al governo Renzi.

I numeri, brutali, raccontano come la maggioranza assoluta al Senato si misuri in 161 voti: e sulle unioni civili, coi 18 verdiniani, si è raggiunta quota 171.

C’è chi, a sinistra nel Pd, prova a spiegare come questi ultimi fossero soltanto “voti aggiuntivi”. È evidente che non sia così. Senza di questi, i grillini non sarebbero saliti sull’Aventino: altrimenti attirati dall’occasione clamorosa di far cadere il governo, che non avrebbe avuto i numeri.

Lo conferma indirettamente proprio Matteo Renzi che spiega come, pur di dotare finalmente il paese di questa legge e uscire dalla palude vietnamita cui era stato confinato, ha chiesto la fiducia “rischiando l’osso del collo”.

In realtà, il collo non l’ha mai rischiato: è del tutto evidente come abbia avuto rassicurazione da Verdini sul suo sostegno, prima di annunciare la richiesta di fiducia. Coi voti verdiniani difatti poteva, collo e governo al sicuro, annunciare urbi et orbi la mossa del cavallo che avrebbe dotato il paese di quella legge di cui si discute da anni. Mozzata in alcune sue parti, certamente: intanto, il risultato è sotto gli occhi di tutti.

I detrattori di Verdini, sempre più numerosi e virgulti, ne dipingono i tratti come quelli di un Licio Gelli fiorentino, un po’ rozzo e un po’ schivo: del politicante o del faccendiere, attento al portafoglio e tanto abile nel muovere uomini come pedine, quanto nel posizionarsi comodo in una maggioranza parlamentare nella quale c’entra nulla per storia e natura.

La verità, cruda, è offerta ancora una volta dai numeri.

Denis Verdini è il vero giocatore di questa legislatura: aperta con un pareggio di tre poli, oggi potenzialmente costituente. Le unioni civili confermano, di nuovo, questa tendenza e il suo ruolo quale parlamentare che più ha influito e dettato i tempi di politiche e riforme.

Oltre alle recentissime unioni civili, a lui si deve la bussola dell’ultima legge di stabilità, altrimenti orientata molto più a sinistra. Facendo un passo più indietro, a Verdini si deve la nascita del governo Renzi: e chissà che senza di lui ci dovessimo ancora annoiare con quel galantuomo di Enrico Letta, o trovare con Giorgio Napolitano ancora a reggere il Quirinale.

Il governo Renzi ha poi realizzato, in due anni, molti dei punti fermi programmatici di ogni diversa coalizione di centrodestra degli ultimi vent’anni e, in particolare, di Forza Italia. Tra i tanti: responsabilità civile dei magistrati, stralcio dell’art. 18, abolizione della tassa sulla prima casa. Senza citare la riforma costituzionale, che giudicheremo nel referendum d’autunno: non a caso votata dallo stesso Silvio Berlusconi, fino alla tragica rottura del Patto del Nazareno. Uno strappo dettato da rancori personali, i cui strascichi sono facilmente osservabili oggi: nella prateria bruciata di Forza Italia e in un Pd che guarda più al centro che a sinistra.

Nella maggioranza costruita oggi intorno al governo Renzi, è molto più naturale la presenza di Verdini che quella di un Miguel Gotor qualsiasi: incapace, insieme ai suoi compagni di minoranza Pd, di qualsiasi indirizzo politico del governo per causa ed effetto dei voti verdiniani.

Verdini ha preparato, organizzato e offerto su un piatto d’argento a Matteo Renzi esattamente ciò che serviva al premier per non farsi ricattare al Senato né dalla minoranza Pd, né da NCD. Chi alza la voce, può continuare: Renzi ha i voti di ALA, e con questi le riforme.  Esattamente quanto successo e dimostrato dal voto sulle unioni civili.

Abbiamo osservato, a riguardo, veri e propri botti e fuochi d’artificio nelle aule parlamentari: dall’esplosione del Pd nelle sue mille correnti, ai cattodem alla ribalta. Grillini prima alleati e, poi, imprevisti nemici sulla scia di Badoglio. Ex comunisti, all’improvviso rinvigoriti dai valori della famiglia cattolica. Alleati di governo, riscoperti nell’ultimo mese più bigotti di cardinali. Forza Italia, tristemente relegatasi a una marginalità politica alla quale lo stesso Verdini l’aveva sottratta durante il periodo nazareno.

Alla fine, il premier ha chiuso la questione con una telefonata a Verdini. Che è oggi il suo alleato più prezioso: semplicemente perché gioca a carte scoperte e può godere della sua fiducia. Al contrario, per esempio, dei suoi alleati di partito: che un giorno sì e l’altro pure, cercano di inventarsi un modo per fargli le scarpe. Perché Verdini non dovrebbe far parte di questa maggioranza?

Il suo tratto all’interno è leggibile, il suo ingresso è squisitamente politico. Si mettano il cuore in pace, a sinistra: questo governo è molto più vicino a Verdini, che a loro.

Possiamo discutere anni, della bontà delle riforme spesso mozzate di Renzi: ma non vi è dubbio che politicamente, storicamente e culturalmente siano più vicine al centrodestra che al centrosinistra.

Verdini esercita oggi il potere guadagnato in Parlamento, influendo sulle decisioni del governo e della maggioranza. Pur appesantito dall’immagine pubblica del voltagabbana, fa politica. Quale è il suo mestiere, del resto. Quale dovrebbe essere, dell’altro migliaio di suoi colleghi. Ed è in maggioranza perché capace, più di chiunque altro, di orientarne il percorso.

Perché Denis Verdini non può far parte della maggioranza di governo?

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