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Un’autobiografia? Un gruppo di famiglia in un interno (quello di Via Velletri) nella Roma allegra e creativa del dopoguerra? O forse anche il romanzo della Rai, che dalle radiocronache sul Giro d’Italia e quel celebre “uomo solo al comando”, di nome Fausto Coppi, alla nascita del primo telegiornale incomincia ad essere l’elemento unificante di tutto il Paese da Nord a Sud?

Il nuovo libro di Walter Veltroni “Ciao” (editore Rizzoli), presentato mercoledì 4 novembre all’Auditorium di Roma, con un parterre di oltre 600 ospiti, è tutto questo. Ma anche, per usare un linguaggio veltroniano (di cui peraltro Walter dà una spiegazione nel libro) “un’autoanalisi”, come la definisce il presidente emerito Giorgio Napolitano.

(GIORNALISTI E POLITICI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI VELTRONI. FOTO DI PIZZI)

Accanto all’ex presidente della Repubblica, a discutere con lo stesso autore sul suo dialogo immaginifico con il padre Vittorio (capo dei radiocronisti – tra i quali i celeberrimi Niccolò Carosio, Nando Martellini, Enrico Ameri – fondatore e direttore del primo Tg) di fatto mai conosciuto, perché morto a 37 anni nel 1956 quando Veltroni aveva un anno, c i sono il direttore del quotidiano “La Repubblica” Ezio Mauro, il presidente della Rai Monica Maggioni e il giornalista del quotidiano “La Stampa” Massimo Gramellini. E’ Gramellini a sottolineare uno dei principali elementi dell’autoanalisi veltroniana: “Quando si resta orfani come Walter si ha bisogno di essere amati e io stesso lo so avendo perso presto mia madre…”.

Veltroni, nel suo coraggioso e intenso libro si mette a nudo e spiega, con la sua autobiografia, il perché delle sue dimissioni proprio da segretario di quel Partito Democratico da lui stesso fondato. Spiega che se ne andò perché non si sentiva più accettato. E questa, come ricorda Gramellini, è la risposta che dette a Matteo Renzi tempo fa in un dibattito pubblico a Firenze. Il premier, abituato a prendersi ogni giorno attacchi da una parte del suo stesso partito, gli rispose: “E allora, Walter?”. E, allora, la differenza, ricorda Gramellini, “sta tra chi è cresciuto sempre con una famiglia accanto fatta di padre e madre e chi no…”.

Forse è la prima volta che un politico, del calibro di Veltroni, si mette così a nudo, dando una spiegazione anche psicoanalista delle sue scelte politiche. Ma, come sottolinea Napolitano, il suo libro “non è una lamentazione”. E come dice lo stesso Veltroni “bisogna distinguere tra la nostalgia e la memoria”. Lui, come scrive nel libro, è entusiasta delle vita che fin qui ha avuto.

Ma un accenno di pessimismo cade sulla politica di oggi. E sulla mancanza in generale nel Paese di un clima di condivisione, di collegialità, che ricordi almeno un po’ quella comunità rappresentata dalla redazione diretta da suo padre Vittorio, raffigurata nella bella immagine del retrocopertina del libro. Dove Vittorio indica con l’indice un punto lontano. Forse proprio quel futuro che lui disse di sognare, poco prima di morire.

Veltroni, che a 60 anni immagina un dialogo con un padre ragazzo di 37 anni, che potrebbe essere a sua volta per un gioco di destini capovolti suo figlio, venuto a trovarlo perché sente che ora Walter ha più bisogno di lui, è netto nel ribadire che lui non smetterà di fare politica. Ma la farà così, scrivendo libri, facendo film come quello su Enrico Berlinguer. Perché, secondo lui, si può fare politica senza incarichi, altra cosa “è il mestiere della politica” che rischia di diventare “trasformismo e anche violenza”.

Tesi con la quale concorda Mauro. Ma non il presidente emerito Napolitano che garbatamente e con una colta citazione fa un distinguo: “Quando rifletto sulla definizione che si può dare della politica io penso sempre a quello che diceva Thomas Mann degli Usa: un Paese fatto di durezza e di necessità, ma sempre con una sua etica”.

Chissà che non sia questo quello che pensa anche l’ex fratello-coltello di Walter, Massimo D’Alema, venuto a omaggiare Veltroni. L’ex premier, in ottima forma, prima va a salutare con affetto Veltroni, poi resta fino alla fine in sala.

(GIORNALISTI E POLITICI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI VELTRONI. FOTO DI PIZZI)

Nel parterre ci sono, tra gli altri, nomi che hanno fatto la storia della Rai come Renzo Arbore e Pippo Baudo, il regista Ettore Scola, che lavorò con il papà di Walter, il direttore del Tg3, Bianca Berlinguer (Sergio Zavoli è intervenuto in un video perché a casa influenzato), parlamentari come Walter Verini, Andrea Martella e il sottosegretario Marco Minniti, c’è anche il presidente del Coni Giovanni Malagò e non manca Giovanna Melandri insieme a un pezzo dell’Unità diretta da Veltroni, dalla ex senatrice Franca Chiaromonte a Letizia Paolozzi a Jolanda Bufalini e Roberto Roscani.

In sala viene anche evocato Silvio Berlusconi quando Walter ricorda che Mike Buongiorno, scoperto per la Rai da suo padre, ritenne quelli con Vittorio Veltroni e Silvio Berlusconi gli incontri che segnarono la sua vita. Veltroni preferisce non chiamare per nome il Cav, ma, scherzosamente, ricorre alla definizione che aveva usato in campagna elettorale nel 2008: “Il leader del principale schieramento avversario”.

Renzi ha mandato il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Ma la presenza che più incuriosisce i cronisti è quella di “Max” che, da solo, insegue con lo sguardo Walter e Napolitano per un ultimo saluto primo di partire, nonostante il mondo veltroniano non sia esattamente il suo genere di platea. Qualcuno lo va a salutare: “Massimo, come stai? E i labrador?”. E lui: “Sto bene, tra un aereo e l’altro, i Labrador però purtroppo non sono più due, uno è venuto a mancare…”. E un po’ si immalinconisce. Presidente, ha letto il libro di Veltroni?, chiede la cronista. D’Alema, d’istinto, risponde: “No…”. Poi si allontana. Forse non si può chiedere troppo a un totus politicus come “Baffino”. Diciamo…

Paola Sacchi  

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