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L’esame al Senato del Ddl Cirinnà sulle unioni civili è stato rimandato alla prossima settimana. Le spaccature interne al Pd, da un lato, gli atteggiamenti equivoci del M5S, dall’altro, hanno spinto i capigruppo a favorire i benefici del tempo.

Si tratta di una scelta molto saggia. In materie così complesse e controverse, che sono e restano eccezionali per la politica, è molto importante che la politica stessa maturi bene le proprie considerazioni e soprattutto proceda in avanti quando è possibile farlo, senza premura e senza fretta.

E’ stato osservato da più parti, non da ultimo dalla stessa relatrice Monica Cirinnà, che il fronte interno al Partito democratico non ha manifestato alcuna coesione, diviso tra renziani, minoranza di sinistra e fronte cattolico. D’altronde, prima di muovere delle accuse, andrebbe capito perché questa iniziativa di legge, partita in modo altisonante, sia finita impantanata nelle paludi individuali.

Forse non è soltanto per problemi di ordine strettamente politico, ma perché nella composizione della legge sono vive questioni molto diverse tra loro: i diritti civili degli adulti, i diritti naturali dell’infanzia, la tutela del corpo femminile. Tre nodi che fanno riferimento rispettivamente alle unioni civili, alla stepchild adoption e alla generazione surrogata. Tre situazioni etiche e giuridiche completamente diverse tra loro e imparagonabili, sebbene tutte d’importanza fondamentale.

Per una volta bisognerebbe essere contenti di una sospensione riflessiva e magari auspicare un ritorno in aula che preveda un dibattito separato di questi tre temi. Mescolarli insieme, infatti, è stato il reale intento e la causa reale del fallimento dell’operazione. Affrontarli insieme è stato, in definitiva, l’errore fatale. A colpire, però, non sono tanto questi, ed eventualmente anche altri, ragionamenti di merito, ma alcuni commenti che sono usciti sui giornali.

Uno in particolare è l’editoriale di ieri del direttore di Repubblica Mario Calabresi, titolato: Unioni civili, metterci la faccia.

L’articolo sostiene a spada tratta l’importanza positiva del riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali, facendo riferimento alla legislazione in vigore in Europa e alla sentenza della Corte costituzionale, la quale ha esortato il legislatore a colmare la disparità giuridica esistente oggi tra le diverse forme di coppia, omo ed etero.

Peccato che però quest’ultimo pronunciamento appare in netto contrasto con la Costituzione italiana, la quale stabilisce invece che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (articolo 29). Laddove naturale sta appunto per eterosessuale.

Ma, di là di tutto questo, Calabresi punta l’indice contro il Parlamento, a suo modo di vedere caduto nel baratro di mille giochetti ed espedienti tattici che avrebbero catapultato la situazione nel caos. Il J’accuse riguarda sì Pd e M5S, ma soprattutto il presidente del Consiglio Matteo Renzi, il quale non avrebbe, a suo modo di vedere, messo la faccia in suo favore, non avendo avuto il coraggio di schierarsi apertamente.

In realtà, come anche Calabresi ricorda, la questione non era quella dei diritti civili, ma dell’adozione, per altro non contenuta esplicitamente nella legge. Fatto sta che l’adoption si è trasformata inevitabilmente da pomo della discordia a veleno letale, giacché, assurdamente, non si è voluto operare il suo tanto auspicato stralcio.

Letto bene, questo intervento di Repubblica mostra tutte le contraddizioni di un percorso legislativo sbagliato fin dall’inizio e male impostato. Se veramente la questione fosse stata quella dei meri diritti di coppia, allora non si avrebbe avuto alcuna remora a eliminare i riferimenti alle adozioni o, peggio, alle forme surrogate di generazione. Invece è diventato palese man mano che dietro tutto stava proprio questa precisa volontà e non soltanto quella di parificare i diritti.

Insomma sarebbe stato più opportuno, invece di lamentarsi del contrario, pensare al vero motivo per cui Renzi non ha voluto metterci la faccia e al perché alla fine non solo il Pd, ma anche i Grillini, si sono spappolati al proprio interno; mentre invece il centrodestra si è mostrato, sia pure nel volto critico e frammentato che lo contraddistingue, forte e compatto.

La confusione non è stata determinata dai senatori, ma dal disegno di legge. Davanti, infatti, alla mescolanza di diritti tanto diversi, molti sottesi e non palesati, se la legge fosse stata approvata, allora sì che ci saremmo trovati nel caos. E quando questo è stato capito, ecco il fuggi fuggi generale.

Nessuno, ad ogni buon conto, può essere accusato di non mettere la faccia in qualcosa di ambiguo, farraginoso e sostanzialmente mal presentato. Oltretutto perché nessuno di buon senso può pensare oggi che se l’Europa ha preso una strada, questa sia necessariamente giusta, e tutto ciò basti per legittimare il salto in avanti verso una deriva antropologica dai contorni oscuri e sinistri. Anzi, varrebbe la pena metterci la faccia sul fatto che è vero esattamente il contrario. O, se piace di più, mettere la mano sul fuoco che è proprio così.

Cirinnà, le certezze di Calabresi e i dubbi del Pd

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