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Nella serie televisiva Lilyhammer, prodotta da Netflix e NRK1, un mafioso di New York tenta di rifarsi una vita in una città della Norvegia. Tra tutti i personaggi secondari della storia, c’è anche il figlio dell’imprenditore Julius Backe, un giovane con un difficile rapporto con il padre, che decide di convertirsi all’Islam grazie alla propaganda jihadista su Internet. Una storia verosimile: recentemente un ragazzo di 30 anni, Arslan Ubaydullah Maroof Hussain, è stato accusato di sostegno al terrorismo nel Paese scandinavo. Nato a Bjerke (Oslo), è cresciuto in una famiglia d’origine pakistana. Il ragazzo era una promessa dell’hockey e del calcio, prima di stabilire legami con l’organizzazione Ummah del Profeta.

LE ACCUSE

Il pubblico ministero norvegese Line Nygård ha confermato alla rete televisiva NRK l’apertura di una nuova indagine su Hussain. L’accusa è di “partecipazione, sostegno e reclutamento per terrorismo”. Il ragazzo era già stato accusato di avere violato le leggi anti terrorismo del Paese. Nel novembre del 2012 p stato anche denunciato per incitamento all’odio, a seguito di un suo commento su Facebook. Alla notizia di un attacco contro Amal Aden, una scrittrice norvegese nata in Somalia, musulmana ma dichiaratamente lesbica, Hussain ha reagito dicendo che la donna avrebbe dovuto essere “lapidata”.

LA RECLUSIONE

Hussain è stato arrestato nell’ottobre del 2012 per aver minacciato due giornalisti. Fu condannato a 120 giorni di reclusione nel 2014. A giugno, un giovane di 18 anni – accompagnato da Hussein – è stato arrestato mentre cercava di volare a Göteborg. Secondo le autorità voleva atterrare in Turchia, per giungere poi in Siria e prestare servizio per lo Stato Islamico. A luglio del 2014 sono piovute su Hussain altre accuse di incoraggiamento a commettere atti terroristici, ma è stato assolto. Il sito Hate Speech International ha una pagina dedicata a lui.

“LA DECAPITAZIONE NON È TORTURA”

Ad agosto del 2014, il quotidiano norvegese VG ha pubblicato un’intervista a Hussain, realizzata dal giornalista Brynjar Skjaerli. A una domanda sul suo presunto sostegno allo Stato Islamico, il ragazzo ha replicato: “Assolutamente sì”. Ma per Hussain si tratta di jihad, non di terrorismo: “Ci sono certe offese all’Islam che meritano la pena capitale. Un metodo adeguato è la decapitazione. Decapitare non è torturare. La gente muore in maniera istantanea, a differenza di quello che accade in Occidente ai prigionieri musulmani”, ha aggiunto.

I VIDEO

Hussain insiste sulla presunta “flessibilità” dell’Isis: “O ti converti all’Islam e diventi musulmano o paghi una tassa. Questa tassa è molto bassa.  A Raqqa, in Siria, è dello 0,5% degli introiti”. Durante la conversazione, il terrorista ha cercato anche di spiegare perché, a suo parere, i video diffusi dall’organizzazione terrorista non sarebbero crudeli: “L’uomo muore all’istante. Muore in un tempo breve. Dove passa lo Stato Islamico non muoiono civili, non si uccidono bambini”.

Chi è Ubaydullah Hussain, il jihadista dell'Isis che terrorizza la Norvegia

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