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La crisi alimentare del 2008 e del 2011 ha ridato centralità al tema dell’alimentazione, ma soprattutto ne ha svelato l’importante dimensione geopolitica, mostrando come il cibo possa rappresentare un’arma di ricatto e di pressione in grado di influenzare gli equilibri politici interni dei paesi.

LE RIVOLTE DEL PANE

I primi segnali della precarietà di questo equilibrio si manifestano con le «rivolte del pane» scoppiate alla fine degli anni ’80 in molti paesi arabi. Le misure di rigore economico previste dai Programmi di Aggiustamento Strutturale costringono i governi a ridurre i sussidi sui beni di prima necessità in un momento in cui un lungo periodo di siccità aveva provocato il crollo delle rese agricole. La contemporanea rottura degli equilibri economici e di quelli ambientali evidenzia il legame stringente che si va creando tra cambiamento climatico, crisi alimentare e instabilità politica all’interno dell’area. Tale legame appare ancora più evidente con la crisi alimentare del 2008 e del 2011 che mostra la vulnerabilità dei paesi arabi nei confronti della crescente instabilità che interessa il mercato globale delle derrate alimentari di base.

IL PATTO SOCIALE TRA GOVERNANTI E GOVERNATI

Definite «democrazie del pane», i paesi arabi hanno basato per anni il proprio equilibrio politico interno su un modello definito «di accordo autoritario»: un patto sociale tra governanti e governati che prevedeva la fornitura da parte dei regimi al potere di derrate alimentari di base a prezzi sussidiati agli strati più poveri della popolazione, in cambio della rinuncia da parte dei cittadini al pieno godimento dei diritti politici e civili. Nonostante le «primavere arabe» non possano essere ricondotte a una matrice unica, ma siano state il prodotto di una serie di fattori che hanno portato all’implosione dei regimi arabi, è innegabile che l’aumento del prezzo del pane abbia contribuito a mettere in crisi questo patto sociale e a rafforzare il malcontento popolare, diventando in parte il detonatore delle rivolte arabe.

IL NESSO ACQUA-CIBO NELLA CRISI SIRIANA

Senza cadere nel determinismo ambientale, anche la crisi siriana vede nel nesso acqua-cibo un fattore di aggravamento dell’instabilità politica. Infatti, nonostante le interferenze internazionali e il cambiamento degli equilibri di potere tra le diverse componenti etniche e religiose abbiano rappresentato la determinante primaria della rivolta siriana del 2011, il deterioramento del quadro ambientale ha creato le condizioni per lo scoppio di una crisi agricola e umanitaria che ha aumentato la vulnerabilità del paese alle forze centrifughe interne ed esterne. L’agricoltura siriana dipende per due terzi dal livello delle precipitazioni e per il resto dall’irrigazione e dallo sfruttamento delle falde sotterranee. Durante il regime di Assad si sono acuiti i problemi ambientali a causa dell’uso inefficiente dell’acqua in agricoltura, dell’eccessivo pompaggio delle falde sotterranee e degli elevati sussidi statali alle colture che fanno un uso intensivo di acqua, come il cotone.

Lo sfruttamento delle risorse sotterranee ha provocato la risalita delle falde, la salinizzazione e la contaminazione dell’acqua a causa dei nitrati, rendendo molti pozzi – soprattutto nella regione di Raqqa – non utilizzabili per il consumo umano. La disponibilità di risorse superficiali ha subito, inoltre, una riduzione in seguito all’incremento dei prelievi da parte Turchia delle acque del Tigri e dell’Eufrate per la realizzazione del progetto Gap.

IL MIX DI FATTORI UMANI E NATURALI

La cattiva gestione delle risorse naturali ha aumentato la vulnerabilità del paese agli eventi climatici estremi. L’ondata di siccità intervenuta nel 2007 ha colpito in particolare la zona Nord-Orientale della Siria, compromettendo l’autosufficienza alimentare raggiunta sin dalla metà degli anni ’90 e rendendo di nuovo il paese dipendente dalle importazioni. Il Nord-Est della Siria era diventato il granaio da cui provenivano i due terzi della produzione agricola del paese, grazie alla realizzazione della diga di Tabqa sull’Eufrate nel 1975 e alla creazione del grande bacino di stoccaggio del lago Assad, primo passo di una vasta politica di valorizzazione delle risorse idriche al servizio dell’agricoltura voluta dal presidente siriano per consolidare il suo regime.

LA ROTTURA DELL’EQUILIBRIO AMBIENTALE

Anche nel caso della Siria, come già avvenuto negli anni ’80 in altri paesi arabi, la rottura dell’equilibrio ambientale avviene quasi in contemporanea con il varo di misure economiche destinate a provocare un deterioramento delle condizioni di vita della popolazione. Tra il 2007 ed il 2008 la media delle precipitazioni in Siria cala del 66 per cento e quella della produzione dei prodotti di base del 32 per cento nelle aree irrigate e del 79 per cento in quelle coltivate a secco. A causa della siccità il prezzo di grano e riso raddoppia, nel 2010 il prezzo del foraggio aumenta del 45 per cento e le condizioni climatiche avverse distruggono gran parte del bestiame. Tra il 2008 ed il 2009 le misure di liberalizzazione adottate dal governo nel tentativo di integrare l’economia siriana nel mercato globale attraverso la riduzione dei sussidi statali, provocano un aumento del prezzo del diesel e dei fertilizzanti, con effetti disastrosi sull’agricoltura.

Perché anche acqua e cibo sono alla base dell'esodo dalla Siria

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