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Il giorno successivo alla decisione di Barack Obama di lasciare alcune migliaia di soldati americani in Afghanistan anche oltre il suo mandato (interrompendo perciò il piano elettorale sul ritiro), dalla Russia Vladimir Putin risponde con l’annuncio della creazione di una task force “in stile Nato” che avrà il compito di operare contro i talebani.

Dal vertice di Barubay in Kazakistan, il presidente russo ha detto: «La situazione lì [in Afghanistan] è molto vicino all’essere critica» e ha annunciato che truppe di Russia, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan, saranno schierate lungo gli 800 chilometri di confine che separano l’Afghanistan dal Tajikistan. Secondo Putin c’è il rischio che i talebani (ri)prendano forza e facciano da spillover in tutta l’Asia centrale (ci sono molti combattenti del jihad siriano provenienti da queste aree). E dal Cremlino fanno sapere di essersi preoccupati molto nei giorni dell’assalto talebano a Kunduz il mese scorso, o almeno questa è la linea che esce.

Non sono stati resi noti i dettagli della joint venture, e molti osservatori hanno commentato che si tratta di una mossa a sfondo politico: con il coinvolgimento siriano, la Russia cerca di attestarsi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come la più concreta forza globale di contrasto al terrorismo. È inevitabile vedere dietro a questi annunci, anche attività di propaganda: ossia, la Russia interviene per risolvere una situazione praticamente in stallo, dopo 14 anni di guerra americana. Secondo alcuni analisti regionali sentiti dal Telegraph, sostanzialmente la scusa della lotta al terrorismo sarebbe utilizzata da Putin per rafforzare la propria influenza e presa (con una camuffata militarizzazione) sugli stati della regione. E dunque, di nuovo, la lotta al terrorismo passerebbe da proxy geopolitico, come in Siria.

LA SITUAZIONE (DELLA RUSSIA) IN SIRIA

La rivista Foreign Policy ha scritto che i bombardamenti dell’esercito russo nelle aree nord-occidentali della Siria, «hanno cambiato “il gioco” ad un livello che le stesse parti in causa faticano a comprendere», ma il Wall Street Journal riporta che c’è chi sta prendendo posizioni chiare: sono i ribelli “non-IS” sul campo, che si stanno compattando lasciando indietro divisioni storiche anche profondo, per creare alleanze vantaggiose contro Mosca e Damasco (e l’alleato Teheran con i fidati Hezbollah). Un esempio di questo è avvenuto nella cittadina di Kafar Nabouda, nel governatorato di Hama, dove i ribelli hanno ripreso il controllo dopo che le forze governative erano riuscite ad avere un temporaneo sopravvento.

Martedì una manifestazione pro-Russia davanti all’ambasciata di Damasco è stata presa a colpi di mortaio, lanciati da aree appena fuori città, segno che i russi sono ormai tra gli obiettivi dei ribelli, ma in effetti l’intervento di Mosca ha ricucito lo strappo sul morale dei sostenitori del regime (che ultimamente vedevano arrivare solo sconfitte).

La Russia sostiene con l’aviazione (e gli advisor a terra) il regime nelle battaglie di terra a nord di Latakia, nella piana di al-Ghab, e lungo la fascia settentrionale della provincia di Hama. In queste aree, come più volte ricordato, non è presente lo Stato islamico, ma altre formazioni di ribelli sia islamiste che non ideologizzate. I bombardamenti russi stanno colpendo anche l’area di Aleppo, la seconda città più grande della Siria: qui, secondo le analisi dell’Institute for the Study of War, un think tank di Washington specialistico, gli attacchi arei che hanno preparato l’offensiva sul fronte più statico dell’intera guerra (centinaia di uomini della Guardia rivoluzionaria iraniana e delle milizie sciite controllate sono arrivati in zona da qualche giorno, per sostenere l’offensiva partita tra sabato e venerdì), stanno invece favorendo l’avanzata dell’IS. Il Guardian titolava giorni fa “Isis seizes ground from Aleppo rebels under cover of Russian airstrike”, perché in effetti le bombe russe hanno colpito i ribelli con i quali l’IS sta combattendo nell’area, e dunque hanno favorito l’avanzata del Califfo su quelle zone (il 9 ottobre hanno preso dieci chilometri di territorio, il più grande successo da agosto).

Impegnare i ribelli simultaneamente su più fronti nel nord siriano, dovrebbe servire ad impedire loro di rafforzare posizioni: i raid si concentrano anche nel tagliare le vie di collegamento tra questi fronti. La storia di questo conflitto ci ha insegnato come sia il regime siriano che l’IS hanno sfruttato le reciproche offensive per avanzare entrambi sui ribelli.

INCONTRI E INTESE

Lo scorso fine settimana, il presidente russo ha incontrato a Sochi il ministro della Difesa saudita e il principe ereditario di Abu Dhabi. Il tema del vertice era la Siria e il terrorismo regionale. temi su cui Putin s’è arrogato il ruolo di risolutore. Mosca fa sapere che c’è intesa su tutto, ma a parte le educate dichiarazioni diplomatiche non è uscito niente di concreto. È noto che i sauditi non apprezzano molto l’azione russa al fianco del nemico Bashar el Assad, e cartina tornasole è il calo del prezzo del petrolio degli ultimi dieci giorni (ora in leggera risalita). Riad ha la possibilità di indirizzare quel valore aprendo o chiudendo i rubinetti estrattivi, Mosca ha vincolato al costo del greggio gran parte del proprio bilancio statale: se scende, sono dolori.

Il ministero della Difesa russa ha annunciato giovedì che il centro di comando alla base aerea di Hmeimim, la principale base russa in Siria, aveva stabilito un collegamento con un posto di comando delle forze aeree israeliane, e che c’era un reciproco passaggio di informazioni per evitare possibili incidenti. È un tema su cui funzionari americani e russi stanno discutendo da diversi giorni, dopo che si sono verificati avvicinamenti tra i caccia dei due schieramenti impegnati sopra lo stesso territorio: ma i dialoghi sono stati inconcludenti, e anche per questo l’annuncio del coordinamento con Israele può essere letto da un punto di vista politico del tutto simile a quello con cui Putin decide di posizionare soldati contro i talebani. In questo Risiko la propaganda e la diffusione mediatica è tutto: Putin sottolinea la posizione collaborativa di Israele, alleato americano in crisi di rapporti, per evidenziare l’assenza di quella statunitense (Mosca continuamente chiama alla responsabilità Washington, “per lottare insieme contro il terrorismo”, solo che poi le sue azioni non mirano a quelli che sono i più pericolosi terroristi in Siria, ma anzi sembra che li favoriscano, centrando obiettivi di realtà nemiche sia di Damasco che di Raqqa, come i gruppi aiutati dalla Cia). Sempre giovedì una delegazione dell’aviazione russa era ad Ankara per discutere di questioni analoghe, anche legate agli sconfinamenti russi sullo spazio areo turco che avevano fatto infuriare il presidente Recep Tayyp Erdogan.

Così Putin fa propaganda sulla Russia in Afghanistan

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