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Lunedì lo Stato islamico ha attaccato alcune aree che ospitano impianti petroliferi nel nordest del Paese.

I jihadisti hanno utilizzato una tecnica di attacco nota, vista più volte sia in Siria che in Iraq: hanno prima lanciato due autobomba contro le porte di un impianto nei pressi della cittadina di Al Sidra. Sfondato il blocco ai cancelli, hanno aperto la strada a una dozzina di pick up armati che sono entrati. Inizialmente sono stati respinti dalle guardie locali, che sono parte di una milizia al servizio di quello che si può definire “un signore della guerra locale”, Ibrahim al Jadran (Jadran non risponde alle logiche degli accordi internazionali siglati il 17 dicembre). Pare che i baghdadisti avessero una potenza di fuoco abbastanza limitata. Si sono poi diretti verso Ras Lanouf, non trovando successo neanche lì.

Le città del petrolio. Ad Al Sidra e a Ras Lanouf (che sono da un paio di anni al centro di combattimenti tribali tra clan e fazioni politiche che ne vogliono acquisire il controllo), il greggio viene caricato sulle navi che si dirigono verso i Paesi che acquistano il petrolio libico: è dunque un’area particolarmente sensibile e nevralgica, il cui controllo è fondamentale per il mantenimento economico dell’ancora non nato governo di concordia nazionale sponsorizzato dalla Nazioni Unite. Anche per questo, cioè per non scoraggiare le trattative ancora in corso per la costruzione dell’esecutivo, le notizie diffuse inizialmente tendevano a minimizzare: poi, però, lo Stato islamico ha messo su Twitter alcune foto in cui si vedono i miliziani in posa davanti ad un impianto di stoccaggio del greggio, che Christian Triebert del Department of War Studies at King’s College di Londra ha individuato a sudovest di Sidra, nei pressi di Ras Lanouf. Cioè l’IS s’è spinto ancora più ad oriente. Il Wall Street Journal parla di un secondo attacco, avvenuto martedì, che ha permesso agli uomini dell’Isis di entrare nell’impianto. Successivamente l’account Facebook del Marine Terminal di Sidra ha pubblicato le immagini di quegli stessi tank sotto a cui si erano fotografati i combattenti del Califfo, in fiamme (nel video se ne vedono bruciare almeno tre).

La conquista più importante. Contemporaneamente, sempre lunedì, con un comunicato i baghdadisti hanno fatto sapere di aver preso il controllo di Bin Jawad, che è una città posta tra Sirte (la roccaforte dello Stato islamico in Libia) e Sidra, posta anche a pochi chilometri da Ras Lanouf, nel tratto dove la costa libica inizia a chiudersi nel golfo della Sirte. Da qualche mese circolano notizie sul fatto che gli uomini del Califfato hanno in parte lasciato la capitale libica per spostarsi a Bin Jawad: un’infiltrazione in massa di cui non erano state diffuse notizie ufficiali. Ora arriva il comunicato in cui il Califfato intitola la conquista a Sheikh Abu Mughirah al Qahtani, che sarebbe stato il capo di tutto lo Stato islamico libico, implicitamente dichiarato morto dal comunicato stesso che dice anche «Possa Allah accettarlo», una formula funebre (solo ai martiri spetta l’onore di vedersi intitolare le conquiste e le offensive).

Il Mig abbattuto (?). Altra cosa successa sempre lunedì: lo Stato islamico ha dichiarato di essere stato in grado di abbattere un Mig 21 dell’aviazione libica nell’area di Bengasi, che si trova ancora più est, dove il golfo di Sirte risale e forma una sorta di promontorio allungato sul Mediterraneo. Il governo ufficialmente dice che si è trattato di un guasto (su Facebook è stato pubblicato il video del jet che precipita, ma è difficile comprenderne la causa). Forse l’Isis ha usato il fatto per bagnare di narrativa la sua avanzata, forse dispone di armi antiaeree comprate sul mercato nero locale (fiorito grazie allo svuotamento degli arsenali gaddafiani).

Ajdabiya. Il Times, sempre lunedì, ha scritto anche che gli uomini del Califfato avrebbero preso il controllo della città di Ajdabiya, che si trova sull’angolo nordovest della cosiddetta mezzaluna del petrolio (poco distante da Sidra, Ras Lanouf e Bengasi), la striscia di terreno che si estende dalla costa centro-orientale e scende verso l’entroterra, in cui sono posizionati i più importanti campi e terminal petroliferi internazionali (non quelli dell’Eni, che ha interessi dal lato opposto della Libia, verso il confine con la Tunisia). Nella città, il governo di Tobruk fronteggia da tempo controparti islamiste, e lo Stato islamico sta approfittando del caos sia per infiltrarsi ad Ajdabiya, sia per arrivare a Sidra e Ras Lanouf. Una delle cose più importanti successe la scorsa settimana in Libia, è stata la defezione di una fazione islamista di Ajdabiya, che è entrata nei ranghi del Califfato: molto osservatori, tra cui Raineri, avevano fatto notare (su Twitter) che questo potesse collegarsi alla presenza, segnalata un mese fa dal New York Times, di un leader iracheno dell’IS che prende il nome di Abu Ali Al Anbari, ex comandante in Siria, specializzato nel creare empatia con i gruppi territoriali.

Verso est. Le conquiste verso l’est libico sono un aggiornamento importante: contrariamente a quanto diffuso tempo fa dai media italiani, che dichiaravano Sabratha, città dalla parte opposta del paese, verso la Tunisia, caduta nelle mani dell’Isis, mentre la notizia era veniva smentita da ogni genere di fonte locale e internazionale (nota: uomini dell’Isis sono comunque presenti a Sabratha e dintorni, ma seguono una strategia più “low profile”, per il momento, senza mettersi all’offensiva).

IL PETROLIO LIBICO E L’ISIS

Intervistato per un report pubblicato a inizio dicembre dall’International Crisis Group, organizzazione che si occupa di ricerche in aree di instabilità violenta, un leader dell’IS locale aveva ammesso che la strategia che i baghdadisti stanno portando avanti in Libia, non mira tanto al petrolio, quanto a bloccarne il commercio. Ossia, lo Stato islamico è consapevole che in Libia non può instaurare un mercato petrolifero fiorente come quello siriano, e dunque cerca di occuparne i campi per impedirne le esportazioni. Il report ricorda l’intervista fatta a settembre 2015 dalla rivista dell’organizzazione, Dabiq (numero 11) al leader dell’IS libico, al Qahtani, il quale aveva spiegato questo concetto, definendo «infedele» il governo libico e i suoi proventi.

Occupare i pozzi per non permettere al governo di sfruttarli, con tutto ciò che ne consegue in termini di crisi economica, è una delle strategie del caos che secondo le predicazioni deve accompagnare le fasi iniziali del Califfato.

È possibile anche che il gruppo voglia mettersi in vantaggio, byapassando i deficit di combattenti sottolineati anche dall’analisi che le Nazioni Unite hanno pubblicato meno di un mese fa, prima che partano eventuali interventi militari (che si fanno sempre più vicini, a sentire i rumors usciti nelle ultime settimane: martedì la Noc, la compagna statale del petrolio libico, ha invocato un intervento immediato; sempre martedì la turca Anadolu Agency ha scritto che recentemente ci sono stati diversi sorvoli di droni americani e francesi sulla costa sopra Bengasi, sembra concentrati su una località che si chiama Lithi, area locale di raccolta dell’Isis). Una volta preso il controllo dei depositi di petrolio, sarà difficile scacciare il gruppo jihadista soltanto con i raid aerei. Per altro, a quel punto, i baghdadisti potrebbero anche vedersi aperte la strade del ricatto, rivolto al governo, per permettere l’uso della risorsa.

IL LEADER

Nel descrivere la nuova offensiva con la dedica ad al Qahtani, lo Stato islamico ha praticamente svelato l’identità del leader. A questo punto ci sono pochi dubbi sul fatto che il capo dell’IS in Libia sia stato Abu Nabil al Anbari, che il Pentagono ha dichiarato morto in uno degli unici raid aerei lanciati sulla Libia il 13 novembre del 2015. Iracheno, ex emiro di Salaheddin, in Iraq, al Anbari è stato mandato dal Califfo in persona, di cui sembrerebbe essere intimo da molti anni (hanno condiviso la detenzione in una prigione americana in Iraq), per costruire l’apparato dello Stato islamico in Libia.

L’ammissione del leader morto, sotto certi aspetti dà valore al raid americano, che ha effettivamente colpito il più alto in grado dell’Isis in Libia. Un’azione evidentemente facilitata dalla presenza di una buona intelligence locale, forse legata anche all’impiego a terra di diverse unità di forze speciali disposte all’interno del paese.

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