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L’utilizzo estensivo degli Unmanned Aerial Systems (Uas) da parte delle forze armate degli Stati Uniti ha attirato crescenti attenzioni da parte dei Paesi del Golfo sin dall’inizio del nuovo millennio. E il rifiuto del Pentagono di esportare questi macchinari, per via delle preoccupazioni di Washington sui rischi legati al trasferimento di simili tecnologie, non ha affievolito l’interesse degli Stati dell’area; esso ha anzi spalancato la porta alle esportazioni di altre potenze, ma anche allo sviluppo di soluzioni nazionali.

In un articolo pubblicato sul sito dell’International Institute of Strategic Studies, Albert Vidal Ribe offre una panoramica della situazione odierna. Dopo un periodo di acquisti selettivi e mirati, alcuni degli Stati del Golfo sono diventati tra i più attivi acquirenti di droni. I soli Emirati Arabi Uniti hanno perfezionato commesse per cinquecento velivoli senza pilota negli ultimi anni. Tra questi vi sono gli accordi con l’azienda turca Baykar, per l’acquisto di sessanta sistemi medi Bayraktar TB2 e di sessanta sistemi pesanti Akinci, e quelli con la svizzera Anavia per la fornitura di duecento droni a rotore Ht-100 e Ht-750. Ma anche sul piano domestico qualcosa si muove: International Golden Group e Adasi, filiali del conglomerato della difesa nazionale Edge, sono sotto contratto per la fornitura di sistemi unmanned. Anche Riad risulta tra gli attori più attivi. Nel 2023 l’Arabia Saudita ha piazzato il più grande ordine in termini di valore di droni prodotti in Turchia, per un valore di circa tre miliardi di dollari. E, anche se in numero inferiore, Kuwait, Oman e Qatar hanno a loro volta ordinato droni turchi o cinesi.

La Cina si è affermata come esportatore di riferimento per i Paesi della regione già nei primi anni dello scorso decennio, con accordi di forte rilevanza come la vendita del Chengdu Wing Loong I agli Emirati Arabi Uniti intorno ad inizio decennio, e dello stesso sistema all’Arabia Saudita pochi anni dopo. In seguito Pechino ha stabilito ulteriori accordi per la fornitura di Uas a questi due Paesi e all’Oman.

Mentre l’affermarsi della Turchia come Paese esportatore è un fenomeno più recente. I droni turchi hanno guadagnato terreno sia perché sono stati protagonisti dei combattimenti in Libia, del conflitto dell’Azerbaigian con l’Armenia e della guerra in Siria, sia per le problematiche registrate nell’utilizzo di alcuni equipaggiamenti cinesi. Ma anche per la sua capacità di consegnare rapidamente le attrezzature: le consegne di Bayraktar TB2 agli Emirati Arabi Uniti sono iniziate pochi mesi dopo l’ordine. Anche Kuwait, Qatar e Arabia Saudita sono acquirenti di Istanbul.

Rispetto al passato, adesso c’è però una maggiore attenzione da parte di questi Paesi nel decidere da chi andare a procurarsi questi sistemi: ora i loro modelli di acquisto riflettono gli sforzi della regione per evitare di schierarsi in termini geopolitici e sottolineano l’ambizione di diventare più autosufficienti in termini di attrezzature militari. Non a caso Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno premuto l’acceleratore sulla progettazione e la produzione nazionale di diverse tipologie di droni. Gli sforzi sono inizialmente rivolti a soddisfare le esigenze delle proprie forze armate, anche se entrambi i Paesi sono intenzionati ad esportare questi prodotti in un secondo momento.

L’Edge Group degli Emirati Arabi Uniti è nella fase finale di sviluppo del suo Reach-S, un sistema Male (Medium Altitude Long Endurance) in grado di essere armato. Una versione più grande, chiamata Reach-M, è stata presentata all’Airshow di Dubai del 2023. Edge ha dichiarato di voler completare i test di volo nel 2024. L’azienda è anche nelle prime fasi di sviluppo di Jeniah, un grande veicolo aereo da combattimento senza pilota con caratteristiche di bassa osservabilità e un carico utile di oltre quattrocento chilogrammi. Un modello in scala ridotta di Jeniah è stato sottoposto a prove di volo almeno dalla fine del 2023.

L’Arabia Saudita sta portando avanti sforzi simili per lo sviluppo e la produzione di Uas a livello nazionale attraverso aziende come Unmanned X, Serb e Intra Defense Technologies. Quest’ultima sta sviluppando il Samoom, un Male con quaranta ore di autonomia. Secondo un funzionario dell’azienda, il Samoom dovrebbe essere consegnato alle forze armate del Regno entro la fine del 2025. Intra ha inaugurato una fabbrica di droni a Riyadh con una capacità produttiva di centoventi velivoli all’anno.

Tuttavia, nonostante gli sforzi, è improbabile che i Paesi del Golfo smettano di acquistare sistemi dall’estero, in parte per mantenere relazioni strategiche. E gli Stati Uniti potrebbero ancora entrare nel mercato, rendendo questo spazio ancora più conteso. Washington ha allentato la sua politica restrittiva che aveva limitato le vendite all’estero di Uas. Un chiaro esempio è stata la decisione di autorizzare la vendita di MQ-9B prodotti dalla General Atomics all’India. Un successo che gli Stati Uniti cercheranno di sfruttare in un mercato sempre più competitivo.

Washington ha anche approvato la possibile vendita di MQ-9B agli Emirati Arabi Uniti, insieme ad armi connesse, in un accordo del valore di quasi tre miliardi di dollari. Ma la conclusione dell’accordo è stata lenta e, a distanza di più di tre anni, non è ancora stata finalizzata, a dimostrazione del fatto che l’approdo degli Stati Uniti a un’importante esportazione di Uas nella regione del Golfo rimane una questione accidentata.

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