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Perugia ─ I media italiani hanno ripreso con vigore la notizia dei nuovi scontri alla Spianata delle moschee a Gerusalemme, avvenuti domenica all’ingresso della moschea di al Aqsa (luogo sacro dell’Islam secondo soltanto a La Mecca e Medina) tra reparti della polizia israeliana e alcuni attivisti palestinesi ─ che si trovavano lì con lo scopo di sabotare la festività ebraica del “Tisha´ be-Av”, il nono giorno del mese ebraico di Av in cui, con un digiuno, gli ebrei ricordano la prima distruzione del Tempio (per mano dei babilonesi) e anche la seconda del 70 d.C. compiuta dalle legioni romane. Diciamo che la notizia potrebbe avere un interessante seguito, visto che Hamas ha dichiarato per venerdì la “Giornata della collera” in reazione agli incidenti, e si rischia una nuova ondata di scontri ─ una specie di mini-Intifada (si spera senza seguito).

La notizia “scontri alla Spianata delle moschee” tra israeliani e palestinesi, con tanto di annuncio di ritorsione di Hamas, è facile (ed è piena dei classici stereotipi sul conflitto israelo-palestinese che servono a “creare discussione”), ma mette in secondo piano un’altra notizia su cui i media italiani si sono mossi con più disattenzione. Secondo quanto pubblicato dal Times of Israel, l’Iran avrebbe completamente tagliato il sostegno al gruppo palestinesi guidato da Khaled Meshaal: si parla della chisura del supporto economico e militare da parte del più grosso sostenitore della causa di Hamas, in quanto nemico israeliano. (Nota: Hamas è un gruppo sunnita, mentre l’Iran è una Repubblica islamica sciita, ma tuttavia Teheran nell’ottica di un pragmatismo geopolitico ispirato all’adagio “il nemico del mio nemico è mio amico”, ne sostiene finanziariamente le attività).

Non è la prima volta che succede: Hamas tre anni fa si era rifiutato di sostenere la linea chiesta dall’Iran sull’appoggio al regime siriano di Bashar al Assad ─ quella storia dei sunniti e degli sciiti ha avuto in questo caso un forte peso ─ e così Teheran aveva anche in quell’occasione tagliato i finaziamenti. Poi ripristinati soltanto lo scorso anno. (Il sostegno economico ad Hamas è una rete geopolitica piuttosto intricata, di cui si era già parlato su Formiche).

Il capo del politburo di Hamas Moussa Abu Marzouk, che si pensa risieda attualmente in esilio in Egitto, citato da al Jazeera (che con il gruppo ha un certo feeling) ha dichiarato: «Tutta l’assistenza [iraniana] si è fermata, sia gli aiuti civili nella Striscia di Gaza che l’assistenza militare ad Hamas». Una bella botta, se si pensa alle ingenti difficoltà economiche in cui versa la Striscia, amministrata unilateralmente in una sorta di regime imposto da Hamas dal 2006 ─ con le elezioni vinte anche grazie al supporto iraniano.

Se si pensa di inquadrare la notizia all’interno di una sorta di good practices seguite dalla Repubblica Islamica dopo l’accordo raggiunto con l’Occidente sul programma nucleare, però (per quel che si sa finora), si va fuori bersaglio. D’altra parte il viceministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, appena dopo aver messo la sigla iraniana sul deal, aveva chiarito che il suo paese avrebbe comunque continuato a sostenere la causa di gruppi come Hamas o Hezbollah ─ che ufficialmente sono considerati organizzazioni terroristiche da molti Paesi occidentali. E allora, perché l’Iran ha tagliato i fondi ad Hamas, contraddicendo anche la linea dichiarata qualche settimana fa?

Il motivo probabilmente è da ricercare in un summit avvenuto in Arabia Saudita. Senza alcun preavviso la sera del 15 luglio Khaled Meshaal è arrivato a Riad, accompagnato da alti membri dell’ufficio politico di Hamas (tra loro c’era anche Marzouk). La prima visita su suolo saudita degli ultimi tre anni. Stante alla breve dichiarazione rilasciata da Hamas, ci sarebbero stati alcuni incontri tra i leader del gruppo e re Salman bin Abdul-Aziz Al Saud, il principe ereditario Mohammed bin Nayef e il ministro della Difesa Mohammed bin Salman. Secondo fonti anonime che hanno partecipato agli incontri e che sono state contattate da Al Monitor, l’accordo nucleare avrebbe aperto nuove dinamiche nella Regione, e così i sauditi avrebbero cercato un riavvicinamento con l’organizzazione palestinese per promuovere il loro sostegno alla causa e allontanarla dall’orbita dell’Iran.

Nella pragmatica delle cose, per Hamas la convergenza con Riad significa garantirsi il sostegno della maggior parte degli stati arabi del Golfo ─ sunniti, che sono molto influenzati dalla monarchia saudita ─ e magari confidando nella capacità diplomatica dell’Arabia Saudita, alleviare la tensione con paesi come la Giordania e l’Egitto. Perdere l’Iran, è il prezzo da pagare sull’altro piatto della bilancia: il gruppo palestinese vorrebbe cercare di muoversi su entrambe le staffe, ma è chiaro che né sauditi né iraniani sono d’accordo su un “rapporto a tre”.

@danemblog

 

hamas

L'Iran molla Hamas (altro che "scontri a al Aqsa")

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