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Lo yuan andava svalutato da tempo, almeno così chiedevano le forze del mercato. Ma in Cina la moneta è un nuovo idolo laico, rappresenta ed incarna, con la forza implicita del suo valore rispetto alle altre monete internazionali, il successo dell’economia pianificata comunista negli ultimi quattro decenni. Il vantaggio di avere un regime di capitalismo oligarchico, del resto, è che puoi decidere tu quando, come ed in che modo svalutare la moneta, senza far prevalere le ragioni di domanda ed offerta.

Quella in corso è soltanto una nuova puntata del confronto di Olibù, tra il capitalismo oligarchico, incarnato più di ogni altro paese da Cina e Russia, e quello tribale rappresentato dagli Usa e dall’Europa. L’oligarchica dei pochi al comando che decidono per tutti e le tribù dei consumatori che, invece, impongono le regole al capitalismo attraverso la loro domanda.

L’economia cinese sta rallentando, ma con il prezzo del barile sceso al suo minimo dal 2009, svalutare lo yuan per una grande economia di trasformazione oggi è meno rischioso: il costo delle materie prime denominate in dollari è sceso più del cambio della moneta nazionale con il biglietto verde, mentre le esportazioni cinesi si avvantaggiano appieno delle migliori ragioni di scambio con il resto del mondo.

Ed oggi la battaglia di Pechino non è più concentrata sulle quote di mercato del tessile o dei prodotti a basso valore aggiunto. La Cina punta alla tecnologia, vuole contrastare il dominio americano nei settori di consumo di massa dell’hi-tech e, contestualmente, aiutare i suoi nuovi colossi del settore Ict ad esportare tanto e bene.

Pechino punta ad avere le reti di telecomunicazioni, ad esempio, dei principali paesi sudamericani e africani realizzate da Huawei, il suo colosso del software e delle infrastrutture per la connettività. Perché: più le multinazionali cinesi possono fare prezzi bassi, più diventa facile aggiudicarsi le gare internazionali.

Poi c’è la partita dei consumi di massa via rete. Alibaba è stata la risposta cinese allo schiacciante dominio americano con le varie Amazon ed eBay, perché solo la Cina ha un mercato interno sufficientemente grande e sufficientemente protetto per impedire gli effetti network che le varie Facebook, Uber o Whatsapp riescono facilmente a realizzare nel resto del pianeta. Ma la Cina non può giocare nel digitale solo in difesa, non può solo contenere l’avanzata delle varie Apple, Microsoft o Google sul suo territorio trovando accordi tattici di volta in volta. Pechino vuole avere un ruolo da co-leader nel business del digitale, dove sa molto bene che impera una regola spietata: the winner takes all, il vincitore prende tutti i profitti.

Ecco allora spiegata la mossa della triplice svalutazione dello yuan da parte delle autorità cinesi. La Cina deve continuare ad accumulare tanto nuovo capitale domestico, grazie all’attivo commerciale, da poter destinare oggi sempre di più ad investimenti nelle tecnologie che abilitano i business dove si scambiano beni ed informazioni senza eccessivi vincoli geografici. E’ soprattutto il desiderio della Cina di non perdere il treno dell’hi-tech sul quale è appena salita a muovere oggi le scelte di politica economica di Pechino.

Del resto, perfino gli oligarchi del partito comunista cinese sanno bene che il successo dello smartphone cinese Xiaomi significa molto di più di una semplice sottrazione di quote di mercato alla Apple o alla coreana Samsung. Significa poter far parte della partita dove, tra qualche anno, si realizzeranno la maggior parte dei consumi e degli scambi commerciali tra privati. Pechino non vuole più essere soltanto la manifattura del mondo avanzato e svalutando, senza preavviso e in maniera originale, lo yuan lo ha chiaramente comunicato al resto del mondo.

Yuan, ecco la vera guerra che la Cina combatte anche contro l'America

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