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Mario Draghi vuol bene agli industriali tedeschi. La politica superespansiva della Bce – insieme al disaccoppiamento rispetto alle decisione della Fed che punta sempre più a cambiare rotta verso un rialzo dei tassi – è infatti la causa principale della debolezza dell’euro. Che nel 2014 ha perso un quinto del suo valore verso il dollaro “rendendo le merci prodotte in Europa in generale più competitive se vendute sul mercato mondiale. Ma questo è tanto più vero in un’economia aperta come quella tedesca, su cui l’effetto del cambio è più evidente”. A scriverlo è Eric Heymann di Deutsche Bank.

NESSUNO PERDE IN GERMANIA
Secondo Heymann, che nella ricerca analizza tutti i settori manifatturieri e anche il rapporto tra export in valore assoluto e ricavi derivanti dall’export, a ben vedere in Germania non ci sono sconfitti, ma solo vincitori con l’euro che langue. “Ovviamente ci sono comparti che hanno ottenuto benefici maggiori – scrive l’analista – e che sono quelli con una maggior quota di export fuori dalla zona euro, ovvero l’industria dell’automotive, l’ingegneria meccanica e la produzione di processori di dati, strumenti elettronici e ottici”.

AUTOMOTIVE PRIMO DELLA CLASSE
“Nel 2014 l’industria dell’automotive ha generato il 45,5% dei suoi introiti da Paesi extra-Eurolandia, mentre per l’ingegneria meccanica la proporzione è stata del 43%. Anche parti dell’ingegneria elettrica, chimica e farmaceutica stanno beneficiando particolarmente della svalutazione dell’euro”, scrive Heymann.
Nonostante il tasso di cambio stia spingendo al rialzo il prezzo dei beni intermedi che vengono importati per realizzare i prodotti finiti, ovvero parti elettroniche, semilavorati metallici o in plastica e gomma, il maggior prezzo è più che bilanciato dai guadagni sul fronte dell’export. “Nel complesso – scrive l’analista – non ci sono reali sconfitti in Germania con l’euro debole, semmai alcuni settori per cui il tasso di cambio è semplicemente poco rilevante, come l’alimentare che serve principalmente il mercato domestico”. Senza considerare i fattori che possono comunque calmierare l’effetto cambio, come “la delocalizzazione della produzione all’estero, i flussi commerciali intra-gruppo o il focalizzarsi su prodotti con bassa elasticità del prezzo alla domanda”.

BATOSTE PER I CONSUMATORI
Se l’industria teutonica brinda all’euro che arranca, lo stesso non faranno i consumatori finali che in generale dovranno invece fronteggiare prezzi maggiori per abbigliamento ed elettronica di consumo, prodotti per cui la Germania ha il maggior deficit commerciale con i Paesi non euro. “Tuttavia, altri fattori, come la riduzione dei prezzi man mano che la tecnologia evolve – scrive ancora Heymann – potrebbero più che compensare l’aumento dei prezzi, nel settore di cui parliamo, che deriva da un euro più debole”.

LA BENEDIZIONE DI DRAGHI SU BERLINO
L’industria tedesca, in ogni caso, non è stata con le mani in mano e ha progressivamente ridotto l’export verso la zona euro a partire dalla crisi del 2008, per rivolgersi al resto del mondo. “Nel 2014, i Paesi di Eurolandia hanno contato per appena il 36,8% dell’insieme dell’export dei beni tedeschi – continua Heymann – a confronto con il 43,2% del 2008. Come risultato, l’export tedesco è diventato più sensibile della media europea alle fluttuazioni del tasso di cambio. La Germania invia una maggior quota di merci fuori dall’Eurozona rispetto a Francia, Spagna o Italia. La politica espansiva della Bce e l’euro debole che ne risulta contribuirà a far crescere ulteriormente il surplus commerciale tedesco nel 2015”.

FATTORI DI RISCHIO
Un rischio, se c’è, è nel medio termine. “L’attuale livello dell’euro e il prezzo a sconto delle materie prime – conclude Heymann – funzionano come un pacchetto di stimuli monetari arrivato gratis e possono suscitare un certo grado di compiacenza. Di conseguenza, gli esportatori tedeschi dovrebbero evitare di sedere sugli allori e contare su questi elementi di favore”.

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