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La geopolitica è secondaria, il primo obiettivo è il business. Donald Trump è arrivato a Riad, e le fonti informate sul suo viaggio nel Golfo spiegano che il presidente americano cercherà tra quelle nazioni amiche investimenti da portare negli Stati Uniti. C’è anche un numero: un “trillion”, ossia mille miliardi di dollari. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar saranno le prime tappe del suo secondo mandato, se si esclude il “toccata e fuga” romana per i funerali di Papa Francesco.

“L’ultima volta hanno messo 450 miliardi di dollari”, ha detto Trump ai giornalisti nello Studio Ovale incontrando il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, a marzo. “Ma questa volta sono diventati più ricchi. Siamo tutti invecchiati. Quindi ho detto ‘Andrò se paghi 1 trilione di dollari alle aziende americane in quattro anni’, e loro hanno accettato di farlo”. Questo è il presupposto da cui nasce il viaggio — e su cui probabilmente Riad ha costruito la possibilità di ospitare i negoziati tra Usa e Russia per trovare una quadra negoziale sull’invasione di Mosca dell’Ucraina.

Sempre a marzo, gli Emirati hanno già dichiarato l’intenzione di investire 1,4 trilioni nei prossimi quattro anni, mentre il Qatar si presenta con la volontà di mettere sul piatto altri 300 milioni di dollari e una donazione speciale: un Boeing 747 da usare come Air Force One — “un regalo libero da tasse”, dice Trump su Truth, che sostituirà “temporaneamente” il Jumbo usato come Casa Bianca volante, vecchio di 40 anni. L’emirato è oggetto anche di attenzioni personali di Trump: il Qatar ospiterà un resort della Trump Organization — il business di famiglia — e lo stesso succederà a Dubai, Jeddah e in Oman (sebbene date e progetti siano da definire). C’è questa dimensione personale che incrocia spesso quella istituzionale nelle amministrazioni Trump, toccando non solo lui direttamente ma anche le figure del suo cerchio magico — dal genero Jared Kushner ai super consiglieri come Steve Witkoff.

Il presidente americano si presenta nella regione con un accordo commerciale con la Cina che — per quanto temporaneo, necessario per mettere un freno all’escalation di tariffe e contro-dazi in corso — sarà piuttosto apprezzato dai suoi interlocutori. Pechino è importante tanto quanto Washington per gli attori multi-allineati nel Golfo, e se lo scontro tra le due potenze si inasprisce le lanciatissime economie della regione rischiano di rimetterci. Tanto per dare un segnale: Trump la scorsa settimana ha annullato una regola costruita dalla precedente amministrazione che mirava a bloccare l’accesso della Cina a chip avanzati tramite terze parti (ma limitava anche quanti chip potevano essere esportati nella maggior parte dei Paesi). L’amministrazione Trump ha detto che lo sostituirà con una nuova regola, lasciando aperta la questione se gli Stati del Golfo dovranno affrontare restrizioni: parecchio dipenderà dai risultati incassati in questa visita — e rivendibili da Trump a livello interno e internazionale.

Nel frattempo però Trump ha smosso anche la dimensione geopolitica. Non è chiaro per esempio se riconoscerà il diritto dello Stato di Palestina, ma ha già forzato Israele — mandando Witkoff nel Paese — a far ripartire i colloqui con Hamas per la guerra a Gaza. È anche possibile che incontri il nuovo ruler di Damasco, Ahmad al Sharaa — attualmente inserito nella lista Usa dei terroristi islamici come “Mohammed al Jolani”, nom de guerre di quando guidava la brigata qaedista al Nusra — e che elimini le sanzioni sulla Siria davanti all’offerta di costruire una Trump Tower a Damasco e a una serie di intese economiche e commerciali, ma anche all’ingresso siriano nel sistema degli Accordi di Abramo. Potrebbe anche vedere il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan (che giovedì ospiterà una delegazione di altissimo livello ucraina e una russa per un negoziato a cui, se dovesse esserci Vladimir Putin, potrebbe unirsi anche Trump).

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