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Si è scioperato su Gaza. Un tema che lacera le coscienze, perché riguarda non solo il destino di un popolo ma anche la misura della nostra umanità. Quando la politica internazionale degenera in calcoli di potenza e i civili vengono trattati peggio degli animali, la protesta non è solo legittima: diventa doverosa. Serve equilibrio, serve capacità di analisi, servono luoghi di confronto. Eppure, in Italia, più che spazi di approfondimento abbiamo palchi di propaganda.

Così, mentre la politica si divide in fazioni, anche il sindacato finisce intrappolato negli stessi meccanismi. Non parliamo di un sindacato, ma di tanti sindacati, spesso in ordine sparso, divisi da estremismi e da vecchie appartenenze ideologiche. Venerdì la Cgil ha scioperato da sola. Lunedì lo hanno fatto i sindacati di base, che in fondo condividono la stessa matrice culturale di molti della Cgil. Perché due date diverse? Non per una ragione di sostanza, ma per calcolo: il venerdì blocca di più, crea più disagi, colpisce il rientro e le partenze del fine settimana. A chi serve tutto ciò?

Non siamo in Iran, né in Russia, né in Cina. L’Italia è una democrazia solida, dove le libertà individuali e collettive sono garantite. Qui lo sciopero è un sacrosanto diritto, ma per responsabilità non deve servire a radicalizzare, ma a costruire sintesi, a dare voce unitaria ai lavoratori. Invece assistiamo al contrario: una parte del sindacato preferisce servire da avanguardia politica, come la cavalleria che precedeva la fanteria nelle antiche battaglie. Ma il risultato è un movimento diviso, incapace di incidere con forza.

L’effetto è paradossale e dannoso: al posto dell’unità sindacale, abbiamo scioperi separati che alimentano disagi nei trasporti, nella scuola, nella sanità. A pagare il prezzo sono i cittadini più fragili, proprio quelli che dovrebbero essere difesi. E mentre le sigle si frammentano, la discussione vera — quella che dovrebbe partire nelle scuole, tra i giovani, nelle università — resta assente. Sarebbe lì che bisognerebbe spiegare le radici del conflitto, i trattati violati, il ruolo delle potenze regionali e le conseguenze globali. Non nelle piazze spaccate e nelle giornate di rabbia a singhiozzo.

Il rischio è quello di cadere nella trappola della disinformazione, alimentata da piattaforme ostili e da veri e propri “cavalli di Troia” interni, che hanno il compito di riscrivere la storia, delegittimare le istituzioni, creare sfiducia e dividere l’Occidente.

Per questo, dispiace vedere il sindacato scegliere la strada più facile — quella della frammentazione e della strumentalizzazione politica — invece di cercare l’unità e il peso che da essa deriva. Se davvero si vuole sostenere la popolazione di Gaza, ingiustamente schiacciata sia dall’occupazione israeliana sia dalla violenza di Hamas, allora la protesta dovrebbe assumere una forma diversa: unitaria, limpida, senza scaricare i costi sui più deboli.

Altrimenti, la coerenza imporrebbe di fare una scelta chiara: unirsi ai propri partiti e smetterla di illudere i lavoratori con scioperi “a orologeria” che procurano confusioni e danni alla gente.

Gaza merita unità (non propaganda). La riflessione di Bonanni

Al posto dell’unità sindacale, abbiamo scioperi separati che alimentano disagi nei trasporti, nella scuola, nella sanità. A pagare il prezzo sono i cittadini più fragili, proprio quelli che dovrebbero essere difesi. E mentre le sigle si frammentano, la discussione vera — quella che dovrebbe partire nelle scuole, tra i giovani, nelle università — resta assente. Il commento di Raffaele Bonanni, già segretario della Cisl

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Di Luciano Violante

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