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Nonostante la cancellazione apparente del vertice dei leader del Quad previsto in India quest’anno, l’amministrazione Trump ha continuato nelle ultime settimane a rafforzare la sua rete di alleanze nell’Indo-Pacifico. Due eventi recenti lo confermano: l’incontro a Tokyo tra il presidente statunitense, Donald Trump, e la neo–primo ministro giapponese Sanae Takaichi, e la firma in Malesia di un nuovo quadro di cooperazione per la difesa di dieci anni tra il segretario alla Difesa americano Pete Hegseth e il ministro indiano Rajnath Singh.

L’asse indo-americano: deterrenza e co-sviluppo tecnologico

Il nuovo accordo, che estende e approfondisce la cooperazione militare tra India e Stati Uniti, si fonda sulla condivisione di informazioni strategiche, sullo sviluppo congiunto di tecnologie e sulla produzione interna di sistemi di difesa. “La nostra partnership è un pilastro di stabilità regionale e deterrenza”, ha scritto Hegseth su X annunciando la firma.

Il documento ha le sue radici nel vertice alla Casa Bianca di febbraio, quando Narendra Modi e Donald Trump avevano concordato di renderlo una priorità comune. La firma in Malesia arriva pochi giorni dopo il colloquio tra il Ministro degli Esteri indiano S. Jaishankar e il Segretario di Stato americano Marco Rubio, anch’esso dedicato al rafforzamento del legame bilaterale in chiave geopolitica e commerciale.

Al centro delle discussioni tra Singh e Hegseth vi sono stati i ritardi nella consegna dei motori F404 della GE Aerospace, cruciali per i caccia leggeri Tejas, e la necessità di accelerare l’accordo HAL–GE per la produzione congiunta dei più avanzati motori F414 in India. Il progetto, coerente con la strategia Make in India, punta a ridurre la dipendenza di Nuova Delhi dalle importazioni militari e a consolidare una capacità tecnologica autonoma nel settore aerospaziale.

L’intesa arriva in un momento complesso per i rapporti commerciali indo-americani: Washington continua a esercitare pressioni affinché l’India riduca gli acquisti di greggio russo, mentre il Pakistan intensifica la propria attività di lobbying nella capitale statunitense. Nonostante ciò, l’asse strategico tra le due democrazie più popolose del mondo resta saldo, fondato su interessi convergenti nella sicurezza marittima e nella stabilità regionale.

Tokyo e la diplomazia del sorriso

Nel frattempo, a Tokyo, la premier Sanae Takaichi ha ricevuto Donald Trump con una miscela calibrata di deferenza e determinazione che ha diviso l’opinione pubblica giapponese. Per alcuni, il suo atteggiamento – fatto di gesti simbolici, come il dono di una pallina da golf dorata e una mappa degli investimenti nipponici negli Stati Uniti – rappresenta un esempio di abilità diplomatica. Per altri, è il segno di un’eccessiva indulgenza verso un interlocutore imprevedibile.

La strategia di Takaichi sembra chiaramente ispirata all’eredità di Shinzo Abe, suo mentore politico e primo leader straniero a stabilire un rapporto personale con Trump dopo le elezioni del 2016. Richiamando quella “chimica” e la visione dell’alleanza indo-pacifica formulata da Shinzo Abe nel celebre discorso del 2007 al Parlamento indiano – “Confluence of the Two Seas” – Takaichi ha cercato di riaffermare la continuità del Giappone come partner cardine degli Stati Uniti nella regione.

Durante la visita, Tokyo e Washington hanno anche firmato un accordo sulle terre rare, un gesto che va letto nel quadro più ampio della competizione tecnologica con la Cina e della volontà del Giappone di diversificare le proprie catene di approvvigionamento. Tuttavia, la proposta – da parte della premier – di candidare Trump al Premio Nobel per la Pace ha suscitato polemiche interne. Molti commentatori l’hanno interpretata come un passo oltre la linea della diplomazia sobria, un gesto più teatrale che politico.

Le due sponde dell’alleanza: convergenze e limiti

Le reazioni dei media giapponesi hanno messo in luce una frattura ideologica: la destra ha salutato l’incontro come l’inizio di una “nuova era” nei rapporti nippo-americani, mentre le testate progressiste, come l’Asahi Shimbun, hanno criticato la “diplomazia dell’adulazione”, avvertendo che il Giappone rischia di compromettere la propria autonomia decisionale.

Eppure, nel gioco più ampio dell’Indo-Pacifico, tanto l’India quanto il Giappone restano attori centrali nella strategia americana di contenimento dell’espansione cinese. La visita di Modi a Tokyo e la firma del documento congiunto di visione strategica hanno ribadito la volontà dei due Paesi di consolidare un asse bilaterale che va oltre le logiche del Quad, estendendosi alla cooperazione tecnologica, energetica e infrastrutturale.

La nuova geometria di potere

Tra Washington, Tokyo e Nuova Delhi si sta disegnando una nuova geometria di potere: un triangolo strategico che, pur condizionato dalle pressioni di Washington con dazi impossibili, sta cercando di preservare margini di autonomia. La sfida per leader come Takaichi e Modi è trovare un equilibrio tra realismo e dignità nazionale, tra cooperazione e indipendenza. In questo equilibrio precario, si gioca oggi il futuro dell’Indo-Pacifico.

Indo-Pacifico e la nuova stagione delle alleanze tra Washington, Tokyo e Nuova Delhi

L’amministrazione Trump ha rafforzato le alleanze nell’Indo-Pacifico con un nuovo accordo di difesa con l’India e un incontro con la premier giapponese Takaichi, nonostante la cancellazione del vertice Quad. L’India punta a ridurre la dipendenza dalle importazioni militari con la produzione congiunta di motori F414, mentre il Giappone, ispirato all’eredità di Abe, cerca di mantenere la propria autonomia decisionale nella competizione con la Cina

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