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Dopo cinque anni, il leader cinese Xi Jinping è tornato a visitare l’Europa: in mezzo è successo di tutto, dalla pandemia di Covid-19 (originatasi peraltro proprio in Cina) a due guerre che hanno avuto, e che stanno avendo tuttora, conseguenze importanti sia a livello geopolitico che economico. Con questa visita, Pechino dimostra di considerare ancora il Vecchio Continente un interlocutore chiave per la profonda interdipendenza che impone a entrambe le parti di mantenere rapporti cordiali ma risoluti.

Il programma scelto da Xi per la propria visita è certamente rivelatore delle priorità cinesi e di alcuni messaggi politici che Pechino vuole inviare all’Europa. Il viaggio si è aperto con un incontro bilaterale con Emmanuel Macron: non un caso, visto che la Francia è un grande partner commerciale del Dragone con un interscambio che ammonta a quasi 80 miliardi di dollari e anche perché il presidente francese è attualmente il leader più dinamico sulla scena internazionale e il più fermo nel confermare il sostegno all’Ucraina in chiave anti-russa (come ribadito dalle recenti affermazioni che hanno messo sul tavolo l’opzione di inviare truppe europee a Kyiv). Xi ha incontrato anche Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea: un appuntamento quasi obbligato per la gestione degli stretti ma anche complicati rapporti economici bilaterali (sui quali tornerò a breve).

Le altre due tappe del presidente cinese sono Ungheria e Serbia: anche in questo caso si tratta di scelte evidentemente non casuali, dal momento che entrambi i Paesi rappresentano due “spine” nel fianco dall’Unione europea. Budapest lo è dall’interno, con il governo sovranista di Viktor Orbán che è da tempo ai ferri corti con Bruxelles. Belgrado lo è invece dall’esterno, per la sua posizione ambigua di candidato all’ingresso nell’Unione europea che mantiene però saldi rapporti politici ed economici con la Russia di Vladimir Putin. Rafforzare i rapporti con questi due Stati è dunque un modo per Pechino di mettere i bastoni fra le ruote dell’Unione europea, sfruttando l’evidente squilibrio economico a proprio vantaggio.

La priorità principale del viaggio di Xi è stata però quella di scongiurare l’avvio di una guerra economica con l’Unione europea, impedendo che si innesti tra Pechino e Bruxelles una spirale protezionistica come quella che si sta avvitando sempre più ormai da anni con gli Stati Uniti. L’Europa è sempre più preoccupata dalla “invasione” di auto elettriche “made in China”, vendute a costi ben inferiori di quelli praticati dai produttori europei in un mercato che, per decisione della stessa Unione europea, ha deciso di imporre la transizione all’elettrico entro il 2035. Ma non solo: la Cina è una minaccia alla sicurezza economica europea anche perché controlla di fatto l’intera filiera delle auto elettriche grazie al quasi monopolio nel campo dell’estrazione e della lavorazione dei minerali critici, vitali per la produzione di batterie. L’Unione europea ha dunque minacciato di imporre dei dazi retroattivi contro le importazioni di auto cinesi: una misura che farebbe molto male a Pechino, in un momento in cui l’economia cinese è in rallentamento sia per una domanda interna debole ma anche per la riduzione dell’export che è stato il vero traino dell’impetuoso sviluppo economico degli ultimi decenni.

Che fare, dunque? Probabilmente, nel breve periodo a nessuna delle due parti converrebbe innalzare nuove barriere commerciali che avrebbero il rischio di infliggere danni economici reciproci. Si potrebbe dunque cercare un accordo che impegni la Cina a non mettere in atto pratiche di dumping commerciale, alzando i prezzi dei veicoli elettrici ma mantenendo al contempo aperto il mercato europeo.

Diversa (e probabilmente con meno margine) è la partita su Russia e Ucraina. Macron ha salutato gli impegni cinesi “ad astenersi dal vendere qualsiasi arma” e “qualsiasi aiuto” alla Russia. Ma, in conseguenza delle sanzioni, Mosca è sempre più nell’orbita cinese e a Pechino fa certamente comodo estendere la propria influenza geoeconomica nello spazio russo.

E per l’Italia quale spazio c’è? Limitato, al momento: anche se ha fatto bene Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, pochi mesi fa a decidere di non rinnovare il memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative (la cosiddetta Nuova Via della Seta), politicamente imbarazzante e di scarso (o nullo) valore aggiunto nel promuovere le esportazioni italiane verso la Cina.

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