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Nel 2010, quando Sergio Marchionne propose ai lavoratori della Fiat il suo piano industriale, il quotidiano la Repubblica fu il più importante tra i media che si accodarono all’attacco violentissimo della Fiom-Cgil contro quel progetto. Le tre deroghe al contratto nazionale che il piano richiedeva venivano qualificate come “attacco ai diritti fondamentali dei lavoratori”.

Ricordate i commenti apocalittici del sociologo-editorialista Luciano Gallino e le interviste trasudanti indignazione ai Rinaldini e Landini, Epifani e Camusso, per l’occasione uniti nella lotta contro il padrone delle ferriere? Per fortuna i lavoratori della Fiat non diedero retta a Repubblica e co. e decisero a maggioranza di scommettere su quel piano respingendo l’invito al “No” della Fiom.

A cinque anni di distanza, i fatti hanno dato loro ragione: la Jeep prodotta a Mirafiori triplica le immatricolazioni, la 500X prodotta a Melfi è la più venduta del suo segmento, l’Alfa Romeo aumenta le vendite del 36% (e Pomigliano è premiato come lo stabilimento auto più avanzato in Europa sul piano tecnologico ed ergonomico, con infortuni sul lavoro letteralmente azzerati).

A questo punto sull’inserto di Repubbica Affari e Finanza (7 settembre) leggiamo in prima pagina e paginone interno: “Auto, la Fiat americana fa bene all’industria italiana”; “il cambio di pelle dell’industria dell’auto italiana è stata ed è una delle condizioni della sua sopravvivenza alla tempesta della crisi”.

Avremmo preferito che questo titolo fosse pubblicato sulla prima pagina del quotidiano e non dell’inserto, con la stessa evidenza con cui vennero pubblicate le invettive contro il piano di Marchionne nel 2010 e 2011. Ma, soprattutto, avremmo apprezzato che il quotidiano diretto da Ezio Mauro riconoscesse apertamente l’errore di allora. Coerenza e capacità di autocritica si richiedono anche a giornali e giornalisti, esattamente nella stessa misura in cui essi la chiedono quotidianamente (e giustamente) ai politici.

(articolo tratto dal blog di Pietro Ichino)

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