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Francamente non mi appassiona sapere se il governo sapesse o meno in anticipo il contenuto della ormai tanto discussa sentenza della Corte Costituzionale sul blocco dell’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo.

Giuliano Cazzola con la sua consueta finezza ha scritto sull’argomento articoli di grande acutezza su queste colonne, ma credo che il tema vero su cui dobbiamo tutti porci delle domande sia se tutti (e ad ogni livello) in questo Paese si rendano (pienamente) conto di quale sia la situazione della nostra finanza pubblica che è sottoposta costantemente, incessantemente, irriducibilmente al nodo scorsoio dell’invalicabilità del 3% nel rapporto deficit/pil, salvo che non si compia per qualche anno un atto consapevole di rottura di tale disciplina, con tutte le conseguenze intuibili nei rapporti con la Ue e con i mercati che rifinanziano il nostro debito pubblico con i costi (per noi) del relativo servizio.

Allora, vogliamo (finalmente) prendere coscienza – una volta per sempre, ripeto per sempre – che su questo nostro bilancio non possono essere scaricate docce gelate che rischiano di “scassarlo” definitivamente? E che tutti – nessuno escluso e naturalmente ciascuno secondo le proprie possibilità – devono essere chiamati a sacrifici per salvare i conti pubblici del Paese ? E vogliamo prendere coscienza una volta per sempre che il governo Renzi è obbligato – bon gré mal gré – ad assumere i provvedimenti che non piacciono a nessuno, ma che sono (assolutamente) necessari se vogliamo tenere in equilibrio la finanza pubblica dell’Italia?

Bisognerebbe anzi procedere con più forza – verrebbe da dire anche a colpi di machete – contro ogni flusso di spesa di danaro pubblico che superi la soglia di sostenibilità e contro tante piccole, medie e grandi rendite di posizione che non possiamo più (assolutamente) permetterci.

In questa prospettiva (e per cominciare) andrebbero tagliati emolumenti ad ogni livello, da quelli dei parlamentari (illuso! mi griderà qualcuno) a quelli di intere caste del nostro Paese, riducendo subito e drasticamente Enti locali, regioni, Camere di commercio, Autorità portuali, sedi universitarie (inutili), Tribunali, Asl, Prefetture, Questure, Consorzi per le aree industriali, aziende municipalizzate, eccetera.

Si prendano, ad esempio, le Camere di commercio che ora dovrebbero ridursi a 60 con almeno 80mila aziende associate. E lo stesso dicasi per le Autorità portuali. E i Comuni? Il Paese degli oltre 8mila Comuni non dovrebbe procedere ad una drastica riduzione degli stessi, con riduzione secca delle loro spese di funzionamento?

Ma anche sugli incentivi alle aziende andrebbe fatto (finalmente) un ragionamento conclusivo – ce lo propone da anni (inascoltato) Francesco Giavazzi – ma non all’ infinito, abolendoli in cambio di una drastica riduzione del prelievo fiscale.

Allora, la domanda vera da porsi è: ma Matteo Renzi, il suo governo e i partiti che lo appoggiano hanno il consenso del Paese profondo per un’azione di radicale riordino della spesa pubblica e più in generale della macchina statale? Esiste sempre il famigerato Pusp, il Partito unico della spesa pubblica, o si è riusciti a ridurne il perimetro, sotto la vigilanza (occhiuta) della Troika? E la stessa minoranza del Pd quali proposte specifiche ha sinora avanzato al riguardo? L’onorevole Pippo Civati che ha lasciato il Pd, quali linee di politica fiscale, economica ed industriale propone ? E l’onorevole Pierluigi Bersani – che nei giorni scorsi ha affermato che, dopo la fiducia sull’Italicum Renzi, d’ora in poi “sarà solo dinanzi ai problemi del Paese” – non avverte tutta la gravità di una simile affermazione?

Come se anche lui (Bersani) non avesse alcun dovere di misurarsi con sue precise proposte e sue dettagliate indicazioni per affrontare i drammatici nodi finanziari e sociali dell’Italia.

Ma veramente qualcuno crede che i problemi del Paese siano l’Italicum e il nuovo Senato? Ma si può assistere ancora, senza provare un moto di sdegnato disgusto, allo psicodramma che è andato in scena da parte di tutte le opposizioni sull’Italicum – chi in aula, chi fuori, chi in piazza – quando il Paese è incalzato da drammatici problemi sui quali tutti – tutti, nessuno escluso – dovrebbero offrire il proprio contributo di idee, di proposte e di programmi accompagnati da comportamenti conseguenti?

E dinanzi a questo Paese ancora zavorrato da tanti (insostenibili) corporativismi, cos’altro potrebbe fare Matteo Renzi, se non il Caudillo come scherzosamente (ma non tanto) lo chiama Giuliano Cazzola?

Federico Pirro (Università di Bari – Centro studi Confindustria Puglia)

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