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Ha vinto Alexis Tsipras. Ha vinto Yanis Varoufakis (che stamattina si è dimesso: “Sono un ostacolo all’accordo con l’Eurogruppo”, ha detto). I due pasticcioni, o dilettanti allo sbaraglio, hanno in verità sbaragliato previsioni che davano vincente il Sì per il gran giubilo delle istituzioni europee, di Berlino e delle maggiori capitali europee. Roma compresa. Ma alla fine non sono stati Tsipras e Varoufakis ad essere stati giubilati.

Non si sa bene su cosa i greci siano andati a votare. Sono stati chiamati a un referendum per dire sì o no a una ipotesi di accordo che in verità non c’era più. Ma Tsipras più che alle tecnicalità pensava a un obiettivo politico: avere la fiducia e il consenso della maggioranza dei greci per continuare a spernacchiare la Troika, le politiche del rigore e l’austerità d’impronta tedesca. Anche se, come ha ricordato su Formiche.net Giuseppe Pennisi, ci sono in Europa molti più merkeliani che anti merkeliani. Ovvero, governi e premier che sono più tosti della Cancelliera tedesca rispetto alle richieste o alle attese della Grecia e che non vogliono concedere aiuti e flessibilità di regole ad Atene dopo lacrime e sangue versate a casa loro. Perché due pesi e due misure?

Sta di fatto che la scommessa di Tripras è stata vinta da Syriza. Ma nessuno sa davvero che cosa succederà da oggi sui mercati, a Bruxelles, a Berlino. Il governo greco aveva assicurato che domani le banche avrebbero riaperto, ora sempre che resteranno chiuse per tutta la settimana, chissà. Ma la palla di sicuro passa soprattutto ai governi, agli Stati. Per un motivo che ha spiegato Guido Salerno Aletta: il debito pubblico greco non è più nei portafogli delle banche tedesche o francesi. Ma in quello degli Stati tramite i vari fondi e i meccanismi europei, allestiti dalle alchimie sempre meno comprensibili di Bruxelles, Berlino e Francoforte. Infatti, secondo gli ultimi dati del Fondo monetario internazionale, il 73% del debito ellenico (che vale oggi 310 miliardi di euro) è detenuto per il 73% da Fmi, Commissione Ue e Banca centrale europea.

Di sicuro Tsipras e Varoufakis – che ieri hanno chiesto alla Bce nuova liquidità oltre gli 89 miliardi dell’Ela già ricevuti – vorranno ricominciare a discutere partendo dall’ultimo documento del Fondo monetario che dichiara di fatto insostenibile il debito greco e dunque una ristrutturazione. E il nodo del debito è davvero quello che sta a cuore a Varoufakis come ha detto personalmente il ministro delle Finanze greco a Paolo Savona, come ha scritto l’economista e fresco autore di J’accuse per Rubbettino.

In altri termini ora si svolgerà un secondo referendum, come spiega l’economista Gustavo Piga: in cui l’Europa deciderà se espellere o meno la Grecia dall’euro. Se costruire un’altra Europa o continuare a condurre alcuni Stati verso il baratro.

E in Italia? Di certo Matteo Renzi è un po’ attapirato, come dice Stefano Cingolani. Al Colle, comunque, si hanno le idee chiare: già da ieri sera il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha vergato una nota che per molti versi è una sorta di agenda dell’Italia, e di Renzi, in Europa, ha notato il notista Francesco Damato. A partire dalla Grecia, ma non solo. Un’agenda tutt’altro che tedesca.

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