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“La Guerra, come un’ombra cupa, ha accompagnato nei millenni l’umanità dai suoi esordi. Il suo perché resta un mistero”, si legge nell’editoriale di Angela Iannitelli, psichiatra della “Società psicoanalitica italiana (SPI) e dell’International psychoanalytical association (IPA), e Massimo Biondi, psichiatra già docente presso “Sapienza Università di Roma”, pubblicato dalla Rivista di psichiatria (gennaio/febbraio 2024), dal titolo: “La guerra come fatto psichico”.

Nel tempo dell’odio e delle guerre, tra orrori e ferite che sembrano cancellare per sempre il futuro annullando diritti non negoziabili dell’esistenza, e difficili orizzonti di pace in un instabile equilibrio geopolitico globale, conoscere le “leggi psichiche” che regolano pensieri, emozioni e comportamenti, può aprire nuove e interessanti prospettive per comprendere la drammatica realtà.

“La guerra è questione complessa e, come tale, osservabile da diversi vertici, tra i quali quello politico, economico, antropologico, sociologico, etnologico, etologico, storico e psicologico”, affermano i due esperti. Offrendo, con lo sguardo della psichiatria, una prospettiva sulle gabbie invisibili della mente e le conseguenze che il trauma collettivo produce anche nelle generazioni successive. “La guerra è una questione psichica e subordinare questa lettura a quella economica, politica e storica, negando la visione del fattore principe che muove tutti gli altri e che con gli altri si camuffa, ne impedisce la comprensione, la valutazione e ne riduce enormemente le possibili strategie di risoluzione”, spiegano Iannitelli e Biondi. Un “terreno di confronto” di psichiatri e psicoanalisti, le “nevrosi di guerra”, sin dal Congresso psicoanalitico di Budapest del 1918, ricordano gli autori. “Quali, le radici? Esiste una pulsione, spinta o istinto, variamente proposta, nel bagaglio filogenetico e ontogenetico, che sospinge all’aggressione tra simili?” E’ una specifica “distruttività” umana?

In un inconscio sempre in agguato, “la scelta di entrare in guerra e la guerra di per sé attivano sistemi difensivi e angosce psicotiche che possono compromettere il giudizio di realtà. Per alcuni autori di formazione psicoanalitica, infatti, la guerra può essere considerata una psicosi”, si legge nell’editoriale. Il conflitto esprime il suo fascino anche nella letteratura classica. “Dopo Ettore, Achille, Paride, i giovani continuano a desiderare la guerra, i loro corpi sono presi e straziati in un ritorno a una unione cosmica che li rende parte di un tutt’uno”. “Sembrerebbe proprio che la vita necessiti della morte per poter esprimere il desiderio. Solo rischiando la vita stessa quest’ultima assume valore”, in un “impasto pulsionale, tra pulsione di morte nella sua componente distruttiva e pulsione di vita”, dichiarano gli studiosi.

E, ancora, citando la filosofa Rachel Bespaloff, in una visione “tragica e ineluttabile”, “la guerra stessa è la via che conduce all’unità nel gigantesco divenire che crea, disintegra, ricrea i mondi, le anime e gli dei. Alla vita che divora essa restituisce un’importanza suprema. Giacché la guerra ci toglie tutto, quel Tutto, che si fa di colpo presente attraverso la tragica vulnerabilità delle singole esistenze di cui è composto, diventa inestimabile”. “Costretto a essere forte o a morire, l’uomo scopre un modo nuovo, più ardito, più ostinato, di amare la vita”.

Quale speranza, dunque, per un mondo di pace?

Sigmund Freud e Albert Einstein, nel 1932, in “Warum Krieg” tradotto in “Perché la guerra”, ricordano Iannitelli e Biondi, si chiedevano: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”, mentre il padre della psicoanalisi, sin dal 1915, rifletteva su aggressività, distruttività e morte nella dimensione collettiva.

La pace non è utopia, concludono gli autori. “Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra”, ha auspicato Freud. Per il mondo cattolico, come ha affermato il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, “l’impegno personale e di tutte le nostre comunità resta quello di essere artigiani di pace, tessitori di unione in ogni contesto, pacifici nelle parole e nei comportamenti”.

“Nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”, ricorda il poeta Giuseppe Ungaretti, in “veglia” accanto al compagno morto in guerra, durante la prima guerra mondiale.

In una “pazzia” che è sempre una sconfitta, forse, la vita trionfa attraverso l’amore, ritrovando se stessi proprio quando la morte sembra dare senso alla vita. La Terra è un solo Paese, per un’unica umanità. Con le sue invisibili ombre. Tormenti, fragilità, misteri. In ogni latitudine, tuttavia, con la sua voglia inesauribile di amore e di pace.

La guerra è una “pazzia”? Due psichiatri spiegano cos’è

Nel tempo dell’odio e delle guerre, tra orrori e ferite che sembrano cancellare per sempre il futuro annullando diritti non negoziabili dell’esistenza, e difficili orizzonti di pace in un instabile equilibrio geopolitico globale, conoscere le “leggi psichiche” che regolano pensieri, emozioni e comportamenti, può aprire nuove e interessanti prospettive per comprendere la drammatica realtà. La riflessione di Elvira Frojo

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