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Una puntura per ognuno dei dieci punti di Matteo Salvini (inviati dal leader della Lega al Foglio l’11 febbraio scorso)

Primo punto: meno Europa.

Salvini costruisce le sue proposte blindandole con la ‘’sindrome di Tecoppa’’, quel personaggio del teatro dei burattini (non scomodiamo i pupi) il quale pretendeva che il suo avversario stesse immobile per poterlo infilzare meglio. Il Matteo minor, nel tracciare il suo disegno di fuoriuscita dall’euro allo scopo di far recuperare competitività (al ribasso) al nostro sistema produttivo e dei servizi (che nostalgia delle svalutazioni competitive !), non prende per nulla in considerazione le contromosse che possono essere adottate dagli altri Paesi. Quanto poi alle presunte devastazioni determinate dalla moneta unica è appena il caso di ricordare che dal 1996 al 2004 la spesa per interessi sul debito è passata dall’11,5% al 4,7% sul Pil (-6,8 punti). Lo chiamano  ‘’dividendo dell’euro’’, pari a circa 100 miliardi all’anno a prezzi correnti. Prima dell’euro i tassi sui mutui erano al 13%. Si tenga conto che le famiglie italiane hanno in corso mutui immobiliari per 280miliardi (2/3 a tasso variabile): ciò fornisce un quadro adeguato delle conseguenze che produrrebbe un’impennata dei tassi.

Secondo punto: più vicini ai piccoli.

‘’La chiave del nostro modello sarà la produzione domestica’’. Il che si chiama  ‘’autarchia’’. Ci ha già provato il Fascismo dopo la crisi del ’29, impoverendo strutturalmente il nostro apparato produttivo e tecnologico.

Terzo punto: pagare meno (prima) per pagare tutti (dopo).

‘’Un’unica aliquota molto bassa uguale per tutti’’. Evocare la flat tax è ‘’politicamente corretto’’ nel talk show. Peccato che la Costituzione preveda la progressività dell’imposizione fiscale.

Quarto punto: spendere per produrre.

E’ il completamento del disegno autarchico del burattino Tecoppa. ‘’Creare fabbriche e coltivazioni mirate alla produzione di beni importati da paesi extra Ue’’. Ciò vuol dire pagare di più beni che possono essere acquistati a prezzi più bassi e rinunciare ad esportare prodotti di maggiore qualità. Perché il commercio internazionale si base sugli scambi. Se noi chiudiamo le nostre frontiere, gli altri paesi faranno lo stesso nei nostri confronti. Vengono ipotizzate persino delle nazionalizzazioni di aziende in crisi. E’ il ritorno dell’IRI. L’Italia è un paese più debole degli altri perché fino al 1993 il 60% del Pil era dovuto a società controllate dallo Stato, inefficienti, che servivano solo a garantire posti di lavoro.

Quinto punto: politiche anticicliche mirate alla piena occupazione.

Un Paese che ogni anno deve rinnovare quattrocento miliardi di titoli di Stato non può permettersi eccessivi squilibri di bilancio. Soprattutto se gran parte di questo debito (almeno il 40%) è detenuto da investitori esteri. Mediamente vengono a scadenza ogni anno titoli detenuti da non residenti per un centinaio di miliardi.

(1/ segue; la seconda parte dell’analisi sarà pubblicata domani)

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