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Che furbacchione, il premier. Non dice a Maurizio Lupi di dimettersi, ma dice ai giornalisti che ha chiesto a Lupi di dimettersi. Risultato: il ministro delle Infrastrutture, stritolato dal frullatore mediatico-giudiziario a colpi di origliamenti telefonici spiattellati a norma di legge, si dimette per difendere la sua dignità politica e la sua famiglia, ha detto alla Camera. Nel frattempo, il presidente del Consiglio elogia la saggezza della rinuncia. Ma in verità gongola.

È davvero un bel volpino, il premier. Grazie a qualche intercettazione, il non indagato Lupi si dimette, un sontuoso posto di ministro delle Infrastrutture si libera a disposizione del premier, il secondo partito della maggioranza viene azzoppato, a breve si rinnoveranno le presidenze delle commissioni parlamentari e il Nazareno è già al lavoro, il Pd renziano diventa sempre più centrale con sommo gaudio anche dei non renziani del Nazareno, Alfano è mogio, Salvini festeggia. Renzi, dunque, non può che esultare (ai giornalisti dirà che è ovviamente addolorato per le dimissioni di Lupi).

Ma – come attesta il libro di Claudio Cerasa, neo direttore del Foglio – Renzi non doveva liberare le catene della sinistra? Non doveva restituire centralità alla politica rispetto alla magistratura e al vento giustizialista? In verità i tentativi renziani sono stati compiuti. Bisogna riconoscerlo. Tre sottosegretari del Pd seppure indagati restano da mesi sottosegretari. Il condannato in primo grado per abuso di ufficio, Vincenzo De Luca, ha spopolato alle primarie del Pd in Campania in vista delle Regionali e aspira a succedere a Stefano Caldoro. E, come ricorda Cerasa, che di certo non è un anti renziano, pare che non ponga alcun problema che da ex sindaco Renzi alloggiasse gratis in una casa dell’amico Marco Carrai, con molte cariche tra cui quella di presidente degli Aeroporti di Firenze, società partecipata dal comune di Firenze.

Garantisti in casa propria e giustizialisti in casa altrui?

Renzi, Lupi e il garantismo a corrente alternata

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