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Ieri Detroit ha cominciato a pagare i suoi debiti chiudendo così la procedura di bancarotta cominciata nel luglio 2013. La città nota come Motown per la sua produzione automobilistica non poteva fronteggiare 18,2 miliardi di dollari di debiti e pertanto aveva dovuto aprire una procedura sotto il chapter 9, ovvero il chapter 11 della legge sulla bancarotta dedicato alle città.

Lunedì 8 dicembre, il commissario straordinario ha inviato al governatore del Michigan (che lo aveva nominato per l’emergenza) una lettera di cinque pagine con la quale spiega come sia riuscito nella sua impresa e, contestualmente, si è dimesso.

Certo non tutti saranno contenti del piano di risanamento, soprattutto i dipendenti pubblici in pensione e gli obbligazionisti. I primi avranno un taglio del 4,5% e la cancellazione dell’aggiustamento per l’inflazione, salvo che per i poliziotti e i pompieri. Per i secondi, invece, ci sarà un consistente haircut, fino al 74%.

Riassumiamo la storia di questo dissesto finanziario. Si parte dagli anni Cinquanta quando Detroit era una città ricca con 1,8 milioni di abitanti, fabbrica – con General Motors, Ford e Chrysler – della maggior parte delle auto vendute negli Stati Uniti. Da allora una politica fiscale comunale poco parsimoniosa si è unita a una popolazione in riduzione e ad un’industria travolta dalla concorrenza internazionale e dalla crisi economica. La risposta è stata un aumento delle tasse e una riduzione dei servizi (con conseguenze molto visibili in un territorio ampio oltre 200 Kmq). Come è facile immaginare, questo mix ha reso la città poco attraente e ha innescato un circolo vizioso: un’ulteriore riduzione della popolazione (oggi siamo a 700 mila abitanti), ma soprattutto sono andati via i cittadini più mobili, ovvero chi lavora nel terziario avanzato e quindi i migliori contribuenti.

Certo il commissario straordinario ha completato la sua missione (pagare i debiti), ma la sfida per Detroit è reinventarsi per tornare ad essere una città capace di attrarre persone e imprese. Nella risposta al commissario, il governatore ha riconosciuto che nell’ultimo anno si è ridotta la criminalità ed è aumentata la qualità dei servizi pubblici. Tuttavia saranno necessarie altre risorse finanziarie – un primo stanziamento è previsto pari a 1,7 miliardi di dollari – per ristrutturare strade, scuole, rete idrica ed elettrica…

Ovviamente ci si augura che Detroit possa diventare una storia di successo; ma, se dovesse andare come pianificato, sarà un successo nel lungo periodo. Nel breve periodo, la popolazione ha pagato costi sociali non indifferenti dovuti principalmente all’inadeguatezza dei servizi pubblici. Il recente caso americano porta alla seguente riflessione. Le risorse umane e finanziarie che hanno abbandonato Detroit sono andate in luoghi dove la produttività era superiore. Questo ha generato un effetto positivo per le città di destinazione (più risorse e, per quanto riguarda quelle umane, di elevata qualità) e per tutto il sistema di cui fanno parte le città coinvolte (l’assenza di movimento avrebbe determinato una produzione complessiva inferiore). Se il sistema è ispirato da un principio di solidarietà, questo dovrebbe prevedere un meccanismo di redistribuzione per aiutare le aree colpite con interventi di spesa, per garantire un minimo di servizi pubblici, e di investimento, per creare le condizioni di una solida competitività.

Attraversando l’Atlantico e tornando a casa nostra, tutto questo già esiste sia a livello nazionale che a livello europeo. Meccanismi quali i fondi strutturali sono teoricamente più efficaci se agiscono in un’economia diversificata, ovvero se ad un territorio svantaggiato se ne affianca un altro che trae vantaggio, e se è presente un sistema di welfare attivo in grado di preparare le risorse umane per nuovi lavori. Essendo il grado di diversificazione tendenzialmente legato alla dimensione territoriale, è probabile che ogni frammentazione (e penso alle recenti spinte secessioniste di Scozia e Catalogna) riduca l’efficacia di questi meccanismi aumentando così il rischio di avere dei casi Detroit anche in Europa. Parafrasando raffinati pensatori contemporanei: non si può essere autonomi con le risorse degli altri.

La bancarotta di Detroit e le spinte secessioniste

Ieri Detroit ha cominciato a pagare i suoi debiti chiudendo così la procedura di bancarotta cominciata nel luglio 2013. La città nota come Motown per la sua produzione automobilistica non poteva fronteggiare 18,2 miliardi di dollari di debiti e pertanto aveva dovuto aprire una procedura sotto il chapter 9, ovvero il chapter 11 della legge sulla bancarotta dedicato alle città.…

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