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Il mondo è diventato una polveriera. Dopo gli attentati della scorsa settimana a Parigi non si fa che intensificare ovunque il rischio di emulazione. Una grande diffidenza, inoltre, regna tra noi. Nessuno si fida più degli altri. Per un verso si ha paura di chi ci sta accanto, perché ci appare, come diceva Marc Augé, il nostro sconosciuto più vicino; e per un altro si comincia ad aver timore anche di noi stessi, di quello che si fa, si scrive e si dice in pubblico o in privato.

Insomma, converrebbe darsi una calmata con i proclami troppo affrettati sulla libertà di espressione. In un clima di terrore generalizzato, simile a una specie di psicosi di massa, tutto può diventare ingiurioso e potenzialmente violento, anche quanto non è tale di per sé. In questa direzione le parole pronunciate a braccio da papa Francesco in aereo sono suonate tanto provocatorie quanto provvidenziali.

Andando dallo Sri Lanka a Manila il santo padre ha voluto affrontare di petto la questione Carlie Hebdo. E le sue considerazioni sono andate spedite sul vero tema decisivo in questione: la libertà religiosa. Si tratta di un valore che richiama, infatti, la parte più intima e misteriosa della persona, la sua umanità più intensa e radicale, il suo bisogno di poter vivere e comunicare con serenità i propri valori spirituali nello spazio pubblico, nell’ambiente in cui si trova. In effetti è solo pensando alla libertà religiosa che tutti ci sentiamo Charlie Hebdo, come recita l’adagio diffuso, ma anche che nessuno sensatamente può identificarsi totalmente con l’uso di una satira offensiva del senso religioso profondo di tanti fedeli che quel giornale produce da anni.

Tutto ciò sembra segnare una contraddizione. Ma in realtà non è così, è molto di più: dice di una reciprocità di riconoscimenti e rispetti che manca completamente quando si perde il senso del limite.

La difesa della libertà religiosa non è, difatti, la semplice tutela di una tra le tante forme espressive del pensare umano. È la salvaguardia di un rapporto con la verità che nasce e costituisce il tessuto stesso della coscienza personale. È una determinazione che chiama in causa quello che si ama di più nella vita e quanto si aspira ad essere di più nella realtà, secondo i costumi consolidati nel tempo dalle rispettive tradizioni.

La libertà religiosa, in fin dei conti, è il diritto dei diritti perché rivela, come direbbe Pascal, non solo la grandezza eterna dell’uomo ma anche il suo limite temporale, la sua fragilità davanti alla vita e la morte. In tal senso, il Papa ha ragione. L’offesa verso un simbolo sacro è un attacco all’amore intimo che ognuno ha per le cose care, molto simile a quello che viene perpetrato contro la propria madre. Non è mai giusto farlo, è quasi impossibile sopportarlo ed è forse perfino sbagliato non reagire quando lo si è subito gratuitamente.

Il diritto alla libertà è il limite stesso della propria libertà, il quale non sta semplicemente nella tolleranza dell’altro, che in tal modo si può sempre spostare a piacimento, includendovi o escludendovi l’ironia e la violenza, ma nel più radicale dovere di misura che impone a tutti di distinguere con intelligenza il bene dal male. È bene essere liberi, è bene fare satira; ma è male la blasfemia ed è ancor più male praticare una violenza invisibile che porta facilmente all’emarginazione, al disprezzo e talvolta perfino all’odio sociale.

Ecco perché la giusta solidarietà e l’ineludibile raccapriccio per gli eccidi consumati a Parigi sono gli stessi che esplodono davanti alla presa in giro oltraggiosa e volgare per le religioni, esibita comunemente pure in Italia su stampa, web e televisione.

Con buona pace dell’Illuminismo di ieri e di oggi, non esiste di fatto un diritto ad essere blasfemi. Anzi, la vera libertà e l’autentica razionalità includono il divieto morale di ingiuriare ciò che altri reputano divino, sacro e inviolabile. Mentre esiste il dovere di essere arbitri di se stessi e della propria decenza nei confronti delle sensibilità altrui. Come diceva Anselmo di Aosta, la libertà non consiste nel fare tutto ciò che si vuole, livellando ogni azione nell’indifferenza, ma nel non fare liberamente il proprio male svilendo il bene degli altri.

Lo stesso atteggiamento fondamentalista, in buona sostanza, che ha spinto la settimana scorsa alcuni pazzi a uccidere dei satiri laicisti può spingere domani dei laicisti troppo seri a uccidere la dignità di altri malcapitati delegittimandola con il riso amaro tra i denti. Le guerre di religione sono subdole, d’altronde, perché non si combattono unicamente da fedeli armati di fede e kalashnikov, ma anche da non credenti armati di penna e vignette.

E, di là di tutto, in un mondo diventato una polveriera non è opportuno, in ogni caso, accendere senza motivo fiammiferi di nessun colore, altrimenti qualche pugno di bengala, prima o poi, volerà di certo.

Il Papa, Charlie Hebdo, la libertà religiosa e il dovere del limite

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