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Il Corriere della Sera parla di cambiamento radicale, per la nomina di “un presidente estraneo al giro romano di potere sindacale-governativo che ha sempre gestito l’INPS”. Certo è che Tito Boeri, economista dell’Università Bocconi e professore alla  London School of Economics con una lunga esperienza nelle più prestigiose istituzioni internazionali oltre che animatore del sito La Voce.info, ha sempre avanzato critiche puntuali e aspre versi gli apparati burocratici e la conservazione dello status quo.

MACCHINONE INPS

È vero che per l’avvio del suo mandato è necessario attendere il via libera del Parlamento entro 60 giorni. E che lo studioso sarà chiamato a rispettare le linee-guida di politica previdenziale del governo. Ma, considerato l’elevato livello di autonomia intellettuale e lo spessore accademico del personaggio, è utile analizzare la sua visione di una realtà nevralgica nell’organizzazione economico-sociale del nostro paese.

I NUMERI

L’Istituto nazionale di previdenza sociale conta quasi 32mila lavoratori, 1.646 sportelli attivi nel territorio e un flusso finanziario che supera gli 800 miliardi di euro l’anno. Gestisce circa 20 milioni di posizioni lavorative e paga le pensioni a 16 milioni di persone, cui ne vanno aggiunti 5 di assegni assistenziali.

BRAVA FORNERO

Cifre che hanno spinto Boeri ad appoggiare con convinzione la riforma previdenziale introdotta nel 2012 dal governo Monti-Fornero.

Riconoscendo il clima di emergenza in cui il provvedimento fu approvato e lo spazio per miglioramenti nel senso di una maggiore flessibilità, lo studioso parla di passo in avanti storico nel segno del rigore finanziario, dell’equità generazionale, della credibilità internazionale dell’Italia.

E per tale ragione respinge con fermezza il progetto del parlamentare del Partito democratico Cesare Damiano. Il quale punta a introdurre una serie di scalini per consentire ai lavoratori di 58 anni di andare in pensione con 35 anni di contributi fino al 2017.

VADE RETRO DAMIANO

A giudizio dell’economista si tratta di una retromarcia che rischia di vanificare 30 miliardi di risparmi nell’arco di 10 anni e allargare la platea delle persone over 55 che perdono il posto di lavoro.

L’alternativa prefigurata da Boeri riguardo queste ultime passa per il taglio del 2-3 per cento dell’assegno previdenziale per ogni anno precedente il raggiungimento della nuova età pensionabile. E per il pagamento dei contributi sociali, da parte dei datori di lavoro, fino a quando i lavoratori coinvolti maturano il diritto a una pensione piena.

SALASSINO PER PENSIONI CON METODO RETRIBUTIVO

Lo studioso ha più volte spiegato che “i cambiamenti demografici rilevanti impongono all’Italia un patto tra generazioni sulle pensioni”. Accordo che ha illustrato un anno fa in un articolo pubblicato su La Voce.info.

La proposta prevede di tassare, con aliquote progressive, la parte dell’assegno previdenziale calcolata non in virtù dei versamenti effettuati nella vita lavorativa ma grazie al vecchio e superato metodo retributivo. Cioè tenendo presente come base le ultime retribuzioni.

Adottando un prelievo del genere per le pensioni superiori ai 2mila euro lordi mensili, scrive lo studioso, si ricaverebbero 4,2 miliardi di euro. “Risorse che potrebbero essere utilizzate per contrastare la povertà assoluta, partendo dalle fasce di età più colpite dalla crisi come giovani ed ‘esodati’”.

TRASPARENZA ASSOLUTA SULLE PENSIONI D’ORO

Nel gennaio 2014 Boeri interviene sul tema delle “pensioni d’oro”, criticando la mancanza di conoscenza degli effettivi contributi versati dai beneficiari dei trattamenti nel corso dell’attività professionale: “È così che possiamo superare i privilegi di assegni troppo generosi del tutto sganciati da criteri di equità. Soprattutto riguardo le erogazioni da 90mila euro al mese, più di 200 volte l’importo di una pensione sociale”.

Misura che ai suoi occhi potrà fronteggiare ogni ricorso alla Corte Costituzionale in nome della rivendicazione di “diritti acquisiti”: “Il sospetto è che non pochi dei pensionati d’oro abbiano fruito di regimi speciali e ulteriori regali elargiti per ragioni consenso elettorale negli anni Settanta e Ottanta. Con i costi riversati sulle generazioni future”.

Perché, osserva l’economista, è giusto chiedere di più a chi ha di più in termini fiscali e non lo è chiedere di più a chi ha avuto di più in base a regole insostenibili e inique?

METODO CONTRIBUTIVO PER TUTTI

È questo l’interrogativo che anima la proposta più radicale formulata finora da Boeri: calcolare tutte le pensioni, compresi gli assegni in corso, con il metodo contributivo vigente per i lavoratori assunti dopo il 1995. E promuovere sugli assegni più elevati un prelievo per recuperare le risorse aggiuntive attribuite con il sistema retributivo.

Un progetto che aveva alimentato interesse in Matteo Renzi appena entrato a Palazzo Chigi e nel suo consigliere economico Yoram Gutgeld. Tutto rimasto nel cassetto, vista l’assenza di interventi riformatori dell’esecutivo sul terreno previdenziale e sugli “assegni d’oro”.

PREVISIONI SUGLI ASSEGNI FUTURI

Altro argomento “caldo” su cui si è focalizzata l’attenzione dell’economista riguarda l’istituto che è stato chiamato a guidare.

Nel dicembre 2013 lo studioso scriveva su La Voce.info che l’INPS ha tutte le conoscenze e gli strumenti per fornire ai lavoratori italiani una stima precisa della loro futura pensione secondo un rendiconto dei contributi versati.

“Tuttavia la scelta di partecipare a un fondo previdenziale integrativo, lavorare di più e accantonare più risorse viene ostacolata dal silenzio colpevole di Ministero del Welfare e Istituto di previdenza”. All’epoca capitanati da Enrico Giovannini e Antonio Mastrapasqua sotto il governo di Enrico Letta.

Un silenzio dettato dalla paura

Un comportamento, rileva Boeri, altamente nocivo per le persone che hanno maggiore esigenza di tali informazioni – lavoratori precari con carriere discontinue e retribuzioni basse – e irresponsabile per la solidità dell’assistenza pensionistica. Perché lo Stato sarà costretto a intervenire per fronteggiare le condizioni di indigenza derivanti da un calcolo errato e poco lungimirante.

Un atteggiamento, rimarca l’economista, provocato dal timore per le ripercussioni politiche negative delle riforme che hanno reso meno generoso il sistema: “O dalla paura di svelare le grandi disparità di trattamento consumate nel passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo”.

STAFFETTA GENERAZIONALE?

Un ulteriore capitolo al centro delle riflessioni critiche di Boeri è la “staffetta generazionale” proposta dal governo Letta nel maggio 2013. Per cui ai lavoratori con più di 60 anni sarebbe consentito di passare da un regime di impiego a tempo pieno a uno a tempo parziale con riduzione di stipendio ma non dei trattamenti previdenziali. Contropartita per le imprese è un calo delle ore lavorate e del monte salari. Il 40 per cento dei quali può essere utilizzato per assumere un giovane.

Meccanismo che allo studioso ricorda le politiche europee del mercato del lavoro in voga negli anni Settanta e Ottanta: “Strategie fallimentari che hanno provocato un aumento generalizzato della disoccupazione a causa del forte incremento dei contributi previdenziali richiesto e della conseguente crescita del costo del lavoro”.

La giusta staffetta generazionale

Favorire l’occupazione giovanile, femminile e degli anziani – scrive l’economista – passa per il superamento del dualismo nel mercato del lavoro, per il taglio della pressione fiscale sul lavoro e per gli incentivi della produttività.
L’accordo “inter-generazionale” prospettato dall’animatore de La Voce.info prevede un calo significativo dei benefici previdenziali per chi detiene una pensione di anzianità e ha goduto di tassi di rendimento elevati sui contributi: “Le risorse risparmiate potrebbero essere utilizzate per finanziare crediti di imposta e sussidi vincolati all’impiego di lavoratori a basso reddito”.

Inps, così Tito Boeri vuole riformare le pensioni

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