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Ferretti Group, gruppo del made in Italy controllato dal colosso pubblico cinese Weichai, ha deciso di ritirarsi dalla gara per il programma di bonifica e reindustrializzazione del sito ex Yard Belleli nell’area portuale di Taranto, uno snodo cruciale per le attività della Marina Militare italiana e della Nato. Lo si legge in una nota in cui si sottolinea che “nonostante gli sforzi profusi dalle istituzioni, i ritardi accumulati nel lungo iter approvativo e attuativo hanno costretto il gruppo a rinunciare al progetto”. L’investimento previsto era pari a 200 milioni per 200 posti di lavoro.

“Negli anni”, spiega ancora il produttore di imbarcazioni di lusso, “sono aumentati gli investimenti necessari e diminuite le contribuzioni pubbliche al programma, rendendone l’esito incerto ed eccessivamente oneroso per la società”. Il recesso è stato comunicato “in tempi idonei a minimizzare l’esposizione dell’Autorità di sistema portuale rispetto alla gara pubblica non ancora conclusa”, si legge nella nota.

Ma si tratta di un stop brusco. E soprattutto inaspettato. Per rendersene conto è sufficiente pensare che il Movimento 5 Stelle, grande sostenitore del progetto sin dal lancio avvenuto nel 2019 (appena nove mesi dopo la firma del memorandum d’intesa sulla Via della Seta, che il governo Meloni ha deciso di non rinnovare), parlava di “punto di svolta” nonostante i ritardi.

Infatti, il Movimento 5 Stelle, sull’onda dell’avvicinamento alla Cina, ha sempre sostenuto l’investimento di Ferretti. Un esempio: a ottobre 2020 il fondatore Beppe Grillo chiedeva di trasformare i porti di Taranto (dove il presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio è Sergio Prete, unico italiano tra gli esperti del Shanghai International Shipping Institute) e Gioia Tauro in due terminali per fare dell’Italia un perno della Via della Seta firmando n articolo sul suo blog con lo pseudonimo J. Lo Zippe. Dopo l’annuncio odierno di Ferretti, il Movimento 5 Stelle ha puntato il dito contro i governi Draghi e Meloni per il “clima di incertezza” causato. Ma, sembra utile ricordarlo, il fatto che un attore rinunci a una gara non significa la fine della gara, nonostante i dispiaceri pentastellati.

Il punto è che ora la Cina sembra un po’ meno vicina a Roma. E dunque anche a Taranto. A settembre dell’anno scorso, per esempio, l’Autorità di sistema portuale del Mar Ionio ha rigettato la richiesta per la concessione della piattaforma logistica presentata da Progetto Internazionale 39, il cui 34% è detenuto da Sergio Gao Shuai, un delegato del governo cinese in Italia.

Ma forse non è tutto perduto per Pechino. Nei giorni scorsi il quotidiano La Verità si è occupato della recente nomina del nuovo amministratore delegato di San Cataldo container terminal, la società terminalistica del gruppo turco Yilport, concessionaria del molo polisettoriale tarantino: Alessandro Becce, con un passato ai vertici del gruppo Psa (controllato dal fondo di Singapore, Temasek, che ha il 22% del suo portafoglio investito in Cina). Il manager avrebbe il sostegno del governatore Emiliano, scrive il giornale, che giunge a domandarsi se la scelta non finirà con riaprire, tramite Yilport, spazi alla Cina, e magari al colosso Cosco.

Addio al piano cinese per il porto di Taranto che piaceva ai 5S

Il gruppo degli yacht di lusso, controllato dal colosso pubblico cinese Weichai, si ritira dalla gara per il sito ex Yard Belleli. Un brusco stop: soltanto una settimana fa i pentastellati, che lanciarono il progetto sull’onda della Via della Seta, festeggiavano la “svolta” del bando

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