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Il presidente della Repubblica ha accusato il colpo con una breve lettera al Corriere della Sera per contestare la tesi di Ernesto Galli della Loggia, editorialista e professore universitario di storia contemporanea, di avere in qualche modo contribuito da presidente della Camera, nel 1992, all’antipolitica da lui stesso lamentata di recente per i suoi aspetti anche “eversivi”.

Accusato, in particolare, di avere troppo frettolosamente archiviato la drammatica lettera contro l’antipolitica inviatagli il 3 settembre di quell’anno dal deputato socialista bresciano Sergio Moroni prima di uccidersi, e dopo essere stato coinvolto nelle indagini giudiziarie milanesi sul finanziamento illegale dei partiti e reati più o meno conseguenti, Giorgio Napolitano ha rivendicato il merito di averne subito disposto la diffusione. E di averla poi letta all’assemblea di Montecitorio nella prima seduta utile. Che fu quella dell’8 settembre, come viene ricordato dallo stesso Napolitano nel libro sulla sua esperienza di presidente della Camera pubblicato da Rizzoli nel 1994 con il titolo: “Dove va la Repubblica- 1992-94 Una transizione incompiuta”: libro ristampato nel 2006 e citato dal capo dello Stato nella lettera di difesa, o giustificazione, inviata al Corriere della Sera dopo l’attacco di Galli della Loggia.

In quel libro, in effetti, si riferisce della vicenda fra le pagine 22 e 26, con il testo integrale della lettera di tragico commiato dell’onorevole Moroni, e denuncia del “clima da progrom nei confronti della classe politica”, e le brevi, brevissime riflessioni di Napolitano in aula. “Faccio cenno – scrive Napolitano a pagina 26 – alla possibilità di un dibattito in Parlamento sulla questione morale per trarne un quadro di impegni di risanamento e di riforma da perseguire”. Ma il dibattito non ci fu né quell’8 settembre, già infausto di suo per la ricorrenza del pasticciato armistizio conclusivo della insensata partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale, né dopo. Ci furono soltanto episodiche discussioni per questo o quel passaggio delle autorizzazioni a procedere, con esibizioni di cappi e cose del genere da parte dei leghisti, o storiche ammissioni e denunce del finanziamento illegale della politica da parte di Bettino Craxi, sempre nell’aula di Montecitorio: denunce sbrigativamente eliminate dal campo politico con la decisione della Procura di Milano di acquisirle come prove a carico nei procedimenti giudiziari contro lo stesso Craxi. Fu una decisione, quella, che l’allora presidente della Camera avrebbe ben potuto denunciare e contestare per la palese violazione delle immunità o prerogative dei parlamentari disciplinate dal vecchio e dal nuovo testo dell’articolo 68 della Costituzione.

Ma quelli erano giorni e tempi in cui ogni parola o iniziativa politica difforme dall’azione giudiziaria, e dal sostegno mediatico che l’accompagnava, rischiava di essere scambiata e liquidata come indulgenza verso la corruzione e come impopolare contrasto alle Procure della Repubblica. Anche Napolitano purtroppo si lasciò influenzare da quel clima, cominciando proprio coll’evitare un immediato e approfondito dibattito sulle questioni drammaticamente sollevate nella lettera del deputato suicida Moroni, per poi ammettere autocriticamente, nel succitato libro del 1994, sempre a pagina 26: “Avrei forse dovuto quel giorno dire di più”.

Questa onesta ammissione tuttavia si trova curiosamente smentita o ridotta nella lettera al Corriere in risposta all’attacco di Galli della Loggia. In essa infatti Napolitano ha scritto, testualmente: “Non avrei potuto aprire una discussione in Assemblea” alla Camera. E perché mai? Chi glielo avrebbe mai potuto impedire o contestare se non lo spirito ormai antipolitico al quale la politica stava arrendendosi anch’essa col suicidio, come Moroni, ma senza avere il coraggio di denunciarla?

In ogni caso, Napolitano ha concluso la sua autodifesa sul Corriere scrivendo: “Ho anche dopo continuato a chiedermi se avrei potuto dire o fare qualcosa di più, ma onestà vuole che non si ignori – con memoria incompleta e non obbiettiva – il modo in cui comunque io personalmente non lasciai “cadere nel vuoto” quella tragica lettera”, di cui egli diffuse subito tutto il testo e diede poi ampia lettura nell’aula di Montecitorio. E Galli della Loggia ha replicato spiegando con un certo sarcasmo di non avere ricordato questa circostanza nel suo editoriale di attacco al capo dello Stato “perché mi sembrava che davvero nessuno potesse pensare” che Napolitano non avesse quanto meno letto all’assemblea quella drammatica missiva.

Ma, detto o scritto a Napolitano quello che obbiettivamente si merita, resta il problema di sapere e spiegare perché anche il Corriere della Sera si piegò allora, e continua a piegarsi tuttora, all’antipolitica celebrando i processi alla politica, o ai politici, prima ancora ch’essi si svolgano nelle aule giudiziarie e si traducano in sentenze, magari definitive.

Corriere della Sera e Napolitano, tutte le ultime stilettate

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