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Il duello tra Matteo Renzi, fresco dell’incontro con Papa Francesco, e Massimo D’Alema, va in scena nel lussuoso Hotel Parco dei Principi sede dell’Assemblea nazionale del Pd, dopo esser divenuto inagibile, per ragioni morali, il Salone delle fontane, gestito dalla Palombini Eur, il cui presidente Sergio Paoloantoni, è stato pizzicato in una intercettazione dell’inchiesta Mafia capitale, e dava della persona perbene al boss della Cupola, Massimo Carminati, un amico.

Certo, il leader Maximo che Renzi non riesce a rottamare, oggi in sala non c’era. Ma, pur se fisicamente assente per non dover assistere alle minacce e ascoltare richiami alla disciplina di partito e alle sanzioni nei confronti di una minoranza frastagliata, come si usava ai tempi del defunto Pci, era come se ci fosse, come se fosse, in sostanza, presente.

Renzi, dal canto suo, fa bene a temere, non l’impacciato Pippo Civati in cerca di taccuini e telecamere per sciorinare le sue ennesime intenzioni bellicose di scissione, ma D’Alema le cui mosse mai sono improvvisate o fatte a caso o sull’onda della ripicca: se D’Alema ritiene Renzi un episodio della storia della sinistra, e non un punto d’arrivo, non solo lo pensa davvero, ma di conseguenza agisce.

Come dire, alea iacta sunt, il dado è tratto: e tanto aveva preannunciato D’Alema, se qualcuno pensa che la sinistra abbia smobilitato, sbaglia i suoi calcoli e si troverà qualche sorpresa, che al Parco dei Principi pur non essendoci si seono visti e uditi gli effetti dell’annuncio dalemiano!

Rifacendosi al grande Totò ogni limite ha una pazienza, se D’Alema aveva assicurato un pezzo del partito potrebbe assumere un atteggiamento più combattivo, oggi senza esserci, è domenica e ha preferito curare il suo vino novello e, magari, godersi la sua magica Roma, lo si è visto e udito chiaramente al Parco dei Principi.
 
Chi vuole cambiare il segretario del partito si metta il cuore in pace: deve attendere il 2017 e chi vuole cambiare il Governo, si metta il cuore in pace, deve attendere il 2018, sibila Renzi e prova, ma con risultati scarsi, a scandire le parole dal palco: arrivano applausi, non sono mai una standing ovation, ma un normale battimani.

A chi se non a D’Alema sono rivolti questi avvertimenti o ammonimenti, dal momento che Renzi e il suo entourage sono convinti che D’Alema lavori, o meglio trami, per far saltare il Governo, mandando a Palazzo Chigi, magari, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, perchè, si dice, da sempre vicino a Baffino?

E ancora: non è stato soltanto D’Alema a stigmatizzare come stupefacenti, alla vigilia di una surreale Assemblea, le dichiarazioni del fidato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio se la minoranza del Pd vuole andare a votare lo dica. Noi vogliamo continuare e arrivare fino al 2018?

Non a caso, alla pepata replica di D’Alema Delrio dovrebbe sapere che le riforme costituzionali sono materia squisitamente parlamentare e che i deputati e i senatori hanno il diritto e il dovere di cercare di migliorare testi che restano contraddittori e mal congegnati, è seguita, dal palco, quella altrettanto risentita di Stefano Fassina, chi?, preceduta dal suggerimento di Alfredo D’Attorre a smetterla con il gioco dei nemici più o meno immaginari

A me pare che il presidente del consiglio cerchi dei pretesti per arrivare al voto anticipato, gli urla in viso Fassina e lo redarguisce: è inaccettabile la delegittimazione morale e politica che ogni volta fai in questa sede nei confronti di chi ha idee diverse dalle tue. Non ti permetto più di fare caricature, la minoranza non fa diktat, non vuole andare a elezioni e non vuole fare cadere il governo. Smettila di scaricare le responsabilità sulle spalle di altri.

In sala non c’erano altri due assenti ingiustificati, diversamente temuti: Pier Luigi Bersani, il teorico della ditta che non si abbandona ma si cambia, con pazienza e tenacia, e la bionda signora in rosso che, senza indugi, ha portato in piazza, con la Uil e l’Ugl, un milione e mezzo di persone per dire al Premier Così non va, Susanna Camusso.

Si sbaglia a sommare le stilettate di D’Alema a Renzi, al braccio di ferro tra la Camusso e lo stesso Renzi? Forse sì. O forse no, non è del tutto impossibile e fuori luogo se si riflette sul fatto che D’Alema riconosce che c’è un problema drammatico di una crisi economica e sociale che si trascina ormai da molti anni. Molte persone non vedono una prospettiva e quindi è chiaro che questo scatena una rabbia verso la politica in generale, i partiti e verso tutti, e che la leader della Cgil, non ha mai nascosto la rabbia del mondo del lavoro, fino a portarla obtorto collo in piazza, dal momento che Renzi considera il sindacato non un soggetto politico o un corpo intermedio, come si usa dire, ma un impiccio, una perdita di tempo.

Renzi, al di là del fiume di parole, annuncite e riformite, in fondo la pensa come Mario Monti il senatore a vita catapultato, senza il voto popolare, come Renzi del resto, a Palazzo Chigi: se avesse potuto Monti avrebbe tagliato le ali estreme della sinistra, la Camusso e il Fassina chi? proprio come voleva fare, del resto, lo stesso Silvio Berlusconi.

Al Parco dei Principi in scena il duello Renzi-D'Alema

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