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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Alberto Pasolini Zanelli uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Made in Germany. Made in China. E adesso, forse, Made in the Outer Space. Il marchio è dietro l’angolo: da pochi giorni importiamo, noi della Terra, qualcosa dallo Spazio, fabbricato nello Spazio. Un piccolo oggetto, per ora, quasi impalpabile. Un pezzo di «carta» elettronico, da integrare con un computer, un 3/D printer. Il tipo di «cose» che ci scambiamo adesso, ma è il primo importato da Fuori, da al di là di quella frontiera che racchiude quello che abbiamo finora chiamato mondo.

L’indirizzo è Cape Canaveral, la International Space Station. Una «facciata» per l’involucro di un printer. Un pezzo di plastica, insomma. E neanche perfetto: un frammento si è andato a incollare un po’ più in là dell’obiettivo. «Non tornerà a succedere», assicurano quelli della Nasa. Sono in programma un’altra ventina di arrivi per le prossime settimane. Dovranno costituire il primo «shop su domanda» per la sostituzione di pezzi che si guastino nello Spazio. «Un piccolo passo», disse il primo astronauta ad aver posato il piede sulla Luna ormai decenni fa, «ma un salto in avanti per l’umanità».

Nessuno ha osato adattare lo storico Bollettino della vittoria a questa innovazione; tranne uno dei boss della Nasa, che ha ricordato quanta strada è stata percorsa «dal giorno in cui il primo essere umano ricavò da una roccia il primo utensile». Il secondo passo non richiederà millenni, stavolta: il nuovo modello sarà molto più grande e ambizioso. Un discorso tecnico. Non toccava alla Nasa entrare nel merito di quelle che dovrebbero essere le reazioni dei non specialisti a un evento che potrebbe cambiare le frontiere, le dimensioni, l’idea stessa della Terra. Finora avevamo fatto tutto in famiglia, compresa la globalizzazione, detta anche mondializzazione: sempre cose di casa nostra.

La Storia ci prepara, forse, un altro regalo, un’altra sorpresa, forse un’altra trappola. La Storia o piuttosto la fantastoria, che si collega meglio con la fantascienza. Gli abitanti del nostro pianeta continuano ad azzuffarsi, fra l’entusiasmo di alcuni e le angosce di tanti, sulla «rivoluzione» che chiamiamo globalizzazione, quasi l’apertura di una nuova era che renda il mondo ancora più irriconoscibile, che ci spinge a un ulteriore salto: in alto ovvero, secondo i gusti, nel buio. La «scoperta» che il nostro pianeta non è un «totale» da spartire o sfruttare assieme, bensì una parte, un partner, una «nazione» le cui frontiere stanno per perdere significato se non quello «trattabile» con dei partner che neppure sappiamo se esistano, ma che comunque hanno un loro spazio.

In termini tanto più modesti e concreti, le cose che i paesi europei comprano altrove per risparmiare sui costi di produzione (a cominciare dai salari) diventeranno oggetto di concorrenza da Altrove; Pechino si metterà in fila dietro a Roma o a Parigi per importare cose e ottenere prestiti per pagarle a qualche superbanca interplanetaria e, perché no, intergalattica. Senza calcolare che anche certe superistituzioni potrebbero finire nel lager dei debitori. C’è già chi si prepara ad arrampicarsi, invece, nell’Olimpo dei creditori. C’è già una rispettabile banca del Texas, la Lamar Savings di Austin, che ha chiesto al governo il permesso di aprire una filiale sulla Luna: ci tiene ad arrivare prima sul nuovo mercato. Per lo sbarco su Marte, in calendario per il 2024, hanno già scelto la zona di atterraggio: il pendio di un vulcano battezzato, appunto, Monte Olimpo.

Dei lanci dello Shuttle, oltre la metà già sono targati business. Segno, dicono, che l’avventura è ormai irreversibile, che commercializzazione e industrializzazione dello Spazio non sono sogno o programma o incubo ma quasi, ormai, realtà che potrebbe diventare quotidiana. Fra i prodotti in cima alla lista del realizzabile ci sono ormoni purificati ed enzimi anticoagulanti, agenti anticancerogeni, ma anche «lenti purissime» per gli occhiali. E, naturalmente, microchip per computer. Chi fabbricherà queste cose? Naturalmente dei robot, proprio come accade sulla Terra. Fatti magari differenti, dal momento che nell’Universo «globalizzato» non avremo più il privilegio di avere macchine a nostra immagine e somiglianza. Non è neanche detto che le faremo noi. Magari in qualche lontana galassia ci saranno maestri e artigiani che sanno come «dominare» qualche venatura speciale di silicio. Umani? Per quell’epoca, probabilmente, quanto noi. Che comunque siamo pronti a modificare le leggi sull’emigrazione. Il primo a dirsi pronto è stato il Papa, con una promessa: se gli «omini verdi» da qualche parte esistono e verranno a trovarci, lui è pronto ad accoglierli con un abbraccio fraterno.

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