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Vorrebbe essere una dimostrazione di forza, si dimostrerà un’ammissione di impotenza. Domenica, Matteo Salvini riunirà a Firenze i leader dei partiti di estrema destra che in Europa si riconoscono nel gruppo di Identità e democrazia. Nelle intenzioni del capo leghista, sarà l’avvio della campagna elettorale delle europee, una campagna impostata sui canoni dell’euroscetticismo e dell’identità di una destra in purezza. Il fatto che la leader del Front National francese Marine Le Pen e quello del Pvv olandese Geert Wilders, fresco vincitore delle elezioni nazionali, gli daranno buca e non saranno presenti personalmente non sembra preoccupare Salvini.

L’uomo, infatti, legge i sondaggi e i sondaggi dicono che se si votasse oggi piuttosto che il prossimo giugno Identità e democrazia otterrebbe 87 seggi all’Europarlamento: 27 seggi più di quelli che attualmente occupa. Grazie alla facile presa dei propri messaggi populisti, Id ha dunque il vento nelle vele. Ma la radicalità delle proprie tesi gli preclude l’attracco in porto. Salvini e camerati prenderanno molti voti, ma non potranno spenderli politicamente, essendo le loro istanze incompatibili non solo con quelle del Pse, ma anche con quelle del Ppe e persino con quelle del gruppo dei conservatori europei, l’Ecr. Gruppo egemonizzato dal partito di Giorgia Meloni. Non è un caso che oggi, in un’intervista al Foglio, il capo delegazione di Ecr al Parlamento europeo, il meloniano Carlo Fidanza, parlando dell’ultradestra tedesca di Alternativa per la Germania (Afd), ma in realtà riferendosi all’intero gruppo di Identità e democrazia, dice che “avrebbero bisogno di una specie di Fiuggi”. Cioè di un cambio radicale di linea e di pelle politica che, per usare un’espressione in voga ai tempi della Prima repubblica, gli consenta di entrare nell’“arco costituzionale” europeo da cui oggi sono esclusi.

Fidanza non si fa illusioni (“non credo che una Fiuggi sia all’ordine del giorno”) sì che il buon Salvini si trova grossomodo nelle condizioni in cui si trovò il dirigente del Pci Gian Carlo Pajetta nel 1947. “Abbiamo occupato la Prefettura di Milano!”, disse l’entusiasta Pajetta a Palmiro Togliatti che lo ascoltava sgomento all’altro capo del telefono. “Bravo, e adesso che te ne fai?”, fu la serafica risposta del segretario del Pci, detto il Migliore. “Abbiamo fatto il pieno di voti”, dirà Salvini l’11 giugno del prossimo anno. E di sicuro qualcuno avrà buon gioco nel rispondergli: “Bravo, e adesso che te ne fai?”.

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