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L’idea di creare un Califfato che realizzi l’unità dell’ummah dei credenti e che garantisca una rigorosa applicazione della sharia non è un fatto nuovo. In Medio Oriente, alla competizione geopolitica si è quasi sempre sovrapposta una confessionale fra i vari modelli di Islam. Ogni movimento dell’Islam politico ne propone uno proprio. L’attrazione che contiene l’appello al Califfato e all’unità dell’Islam è molto forte.

A esso è strettamente associata, soprattutto nel mondo arabo, l’idea di un revival economico e politico-militare, dopo i secoli di declino e di umiliazioni seguiti all’iniziale periodo di grandezza dell’Islam. Specie durante il Califfato abbaside il mondo arabo aveva giocato un ruolo chiave nei campi culturale, scientifico-tecnologico ed economico e di collegamento fra l’Asia, l’Europa e l’Africa.

A differenza dell’Europa, in cui l’idea di un continuo progresso è legata alle sue esperienze storiche (dal Medioevo è passata al Rinascimento, all’Illuminismo, alla Rivoluzione industriale e oggi a quella post-industriale), l’Islam ha conosciuto il massimo splendore nei primi cinque-sei secoli della sua storia. Poi è decaduto, fino a essere colonizzato nel XIX e XX secolo. Ciò lo porta a immaginare il futuro con l’ottica del passato.

Tale tendenza è rafforzata dal collegamento esistente fra politica e religione e dal ruolo mobilitante di quest’ultima. Maometto, non morì sulla croce come Cristo, ma fu un grande condottiero. I Califfi suoi successori e vicari in terra (il primo fu Abu Bakr, il cui nome è significativamente quello del capo dell’ISIS, al Baghdadi, autoproclamatosi Califfo) furono grandi conquistatori. Estesero l’Islam, a Ovest, fino alla Sicilia e all’Andalusia e, ad Est, lungo le Vie della Seta terrestre e marittima, rispettivamente all’Asia Centrale e a quella Sudorientale.

Lo scorso luglio, al-Baghdadi, con una lunga veste e un turbante nero, apparve in pubblico per la prima volta nella grande Moschea di Mosul, per annunciare la creazione dello Stato Islamico, transfrontaliero fra questi due paesi centrali nella storia dell’Islam, autoproclamandosi Califfo di tutti i credenti. La costituzione dello Stato Islamico era stata resa possibile dalle strepitose vittorie delle milizie dell’ISIS in Iraq e in Siria. Esse hanno consentito a al-Baghdadi di fare quello che prima Khomeini, sostenuto in questo dalla Fratellanza Musulmana, poi Osama bin Laden, avevano promesso, ma non erano riusciti a realizzare. L’evento segna anche la frattura definitiva fra lo Stato Islamico e al-Qaeda.

Già in passato erano ai ferri corti, da quando cioè al-Baghdadi aveva cercato di ottenere l’adesione all’ISIS di varie formazioni che facevano capo ad al-Zawahiri, il successore di bin Laden. La costituzione del Califfato potrebbe essere un evento che supera o almeno attenua la storica divisione fra sunniti e sciiti, che oggi si sovrappone alle contrapposizioni geopolitiche esistenti in Medio Oriente. Tale divisione, avvenuta subito dopo la morte di Maometto, fu originata dai problemi della sua successione. Per i sunniti il Califfo doveva essere designato dai seguaci del Profeta.

Per gli sciiti doveva avere con lui legami di sangue. Stranamente al-Baghdadi, nello stesso momento in cui si è autoproclamato Califfo, ha affermato che la sua famiglia discende direttamente dal Profeta. Non si conosce il motivo di tale sua strana affermazione. Non è escluso però che voglia non solo cancellare i “confini tracciati sulla sabbia” da Francia e Gran Bretagna dopo la Prima Guerra Mondiale, per rompere l’unità araba, ma anche la principale frattura religiosa dell’Islam. E’ però poco probabile. Infatti, appartiene a una fazione “dura e pura” del Sunnismo, che si rifà direttamente al “Libro della Spada” e al “Discorso della Mecca”.

Da essi discendono le interpretazioni più rigoriste della sharia, che giustificano le inaudite violenze esercitate dall’ISIS sui cristiani, gli sciiti e gli yazidi. Non è il caso di discutere se sia possibile nella situazione attuale del Medio Oriente procedere alla cancellazione dei confini e degli Stati e alla creazione di nuove statualità, oppure se il nazionalismo anche territoriale derivato da quasi un secolo di esistenza degli Stati post-ottomani lo impedisca.

Per inciso, a parer mio, non sarà tanto lo Stato Islamico o il Califfato a mutare la geopolitica del Medio Oriente, ma la secessione della nazione curda dagli Stati in cui è divisa. Anch’essa è però improbabile date le sue divisioni, ad esempio in Iraq fra il Partito Democratico filo-turco di Barzani e il Fronte Patriottico, filo-iraniano, di Talabani. Sotto tale aspetto, l’Occidente “gira a vuoto”. Bombarderà l’ISIS senza avere un progetto geopolitico di che cosa fare dopo averlo eliminato. Per inciso, la resilienza degli Stati creati dalla potenze coloniali è dimostrata dalla tenuta territoriale del Libano, malgrado quindici anni di guerra civile, e da quella della Giordania. Eppure essi erano gli unici due Stati creati ex-novo a seguito degli accordi Sykes-Picot e della conferenza di San Remo. Negli altri casi, i mandati europei prima e l’indipendenza poi hanno trasformate in politici i confini amministrativi, raggruppando in modo abbastanza razionale i vari Vilayet e Sangiak ottomani.

L’appeal esercitato dal ricordo del Califfato e di un glorioso passato, che al-Baghdadi dichiara di voler far rivivere con la riconquista dell’Andalusia e, visto che c’è, addirittura di Roma, è dimostrato dalla rapida adesione al Califfato di vari gruppi, fra cui l’AQAP (al-Qaeda in Arabic Peninsula), l’AQIM (al-Qaeda in Islamic Maghreb) e l’egiziano Ansar Beit al-Maqdis. Tale appeal è stato moltiplicato dall’efficiente macchina mediatica di cui l’ISIS dispone. Essa eccede come dimensioni e sofisticazione quella a disposizione degli altri gruppi di miliziani islamici. Rappresenta uno strumento essenziale per diffondere l’influenza dell’ISIS e per aumentare sia i reclutamenti locali e dei foreign fighters (secondo l’intelligence USA, l’ISIS disporrebbe di 31.500 combattenti, di cui 12.000 non proverrebbero dall’Iraq e dalla Siria, ma per cinque sesti da altri paesi islamici e 2.000 dall’Europa), sia i finanziamenti, effettuati soprattutto da privati degli Stati del Golfo.

La possibilità di costituire un Califfato che eserciti la sua influenza su tutto l’Islam è irrealistica. Mobiliterebbe per combatterlo tutti gli Stati della regione. Le classi dirigenti vedrebbero messo in pericolo il loro potere. In realtà, la proclamazione dello Stato Islamico e del Califfato da parte di al-Baghdadi rappresenta un pericolo mortale per quanto resta di al-Qaeda. Quella che è in gioco non è la geopolitica del Medio Oriente, ma quella del terrorismo transnazionale. Occorre che l’Occidente alzi il livello di guardia. La competizione fra i due gruppi potrebbe indurli a effettuare qualche maxi-attentato contro il “nemico lontano”, per rafforzare la propria influenza nel mondo islamico, che è quello che conta soprattutto per l’ISIS. Per ironia della storia, distruggendo l’ISIS, gli USA non rafforzeranno solo il regime di Assad in Siria, ma anche al-Qaeda. Obama dovrebbe dar retta al suo Capo di Stato Maggiore che non ha escluso l’impiego contro l’ISIS di truppe terrestri USA. Occorre infatti far presto. L’imbelle e disarmata Europa, la cui politica di sicurezza è affidata a persone senza arte né parte, non può far nulla se non auspicare che Obama faccia sul serio il comandante in capo. Tutt’al più, noi europei non dobbiamo esagerare la minaccia, prendendo sul serio e diffondendo il terrore del fantomatico Califfato, se non altro per non fare divertire più di quel tanto i sofisticati registi della comunicazione dell’ISIS, che certamente sanno fare bene il loro mestiere.

Perché Isis e Al Qaeda non si alleeranno

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