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La novità delle ultime ore è il decreto dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) che impone l’infibulazione nei territori passati sotto la guida del califfo Abu Bakr al Baghdadi.

Da sabato scorso, a Mosul, non ci sono più cristiani. Gli ultimi, soprattutto poveri e anziani, se ne sono andati dopo che le loro case erano state prima marchiate con la N di “nasara” (cristiano) e poi confiscate.

LA TASSA PER I NON MUSULMANI

Agli infedeli, le milizie jihadiste chiedevano di pagare la jyzia (l’antica tassa imposta ai non musulmani) o di convertirsi. Altrimenti, le pene erano severe: cacciata dalla città o punizioni secondo la sharia. Ai checkpoint posti all’uscita delle città i miliziani requisivano tutto alle famiglie in fuga: dai passaporti agli ultimi oggetti di valore, fino alle scarpe.

LE PAROLE DEL PAPA

Il Papa, parlando domenica all’Angelus, non a caso aveva ricordato “i nostri fratelli perseguitati, cacciati via, che devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente con loro”. Esprimeva vicinanza, Francesco, ai “carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati”: “Io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in colui che ha vinto il male”. Da settimane, Mosul si stava spopolando: molti cristiani avevano già cercato (e trovato) riparo all’interno delle antiche mura del monastero di San Matteo, dove ancora oggi si prega in aramaico, la lingua di Cristo. Gli altri erano rimasti in città, confidando nelle prime dichiarazioni dei seguaci del Califfo, improntate alla “collaborazione” con le minoranze.

LA POSIZIONE DEL PATRIARCA CALDEO

Lo stesso patriarca caldeo di Baghdad, mons. Louis Raphael Sako I, si manteneva su posizioni equilibrate, mettendo in rilievo la necessità di evitare la divisione dell’Iraq secondo criteri confessionali. Ma al precipitare della situazione, quando l’episcopio siro-cattolico di Mosul veniva dato alle fiamme mentre il patriarca Ignace Joseph III Younan si trovava a Roma per colloqui in Vaticano, anche Sako rompeva gli indugi e invitava i cristiani a “scappare”. Il giorno dopo, a Baghdad, definiva “una vergogna e un crimine cacciare persone innocenti dalle proprie case e confiscare le loro proprietà perché diversi, perché cristiani”. Il mondo intero – aggiungeva il patriarca – “deve ribellarsi contro queste azioni abominevoli”.

UNDICI CHIESE BRUCIATE A MOSUL

E di azioni abominevoli nelle città passate sotto il controllo dell’Isis se ne contano ogni giorno di più: occupazione delle chiese (dove vengono profanati gli altari con bandiere e drappi neri), distruzione delle statue dei santi e delle madonne (tra le prime cose che i seguaci del califfo hanno fatto), occupazione dei monasteri, delle case gestite dalle suore e dei centri religiosi. Undici chiese su trentacinque, sempre a Mosul, sono state date alle fiamme. Il cardinale Béchara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti e tra i più determinati oppositori a un attacco occidentale contro la Damasco di Bashar el Assad lo scorso settembre, s’è chiesto domenica scorsa “cosa dica di tutto questo l’islam moderato”.

“CRIMINE CONTRO L’UMANITA'”

Il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, parla di “macchia indelebile nella storia dell’umanità”, quasi parafrasando le parole del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il quale ha definito “crimine contro l’umanità” quanto sta avvenendo nella piana di Ninive.

Il martirio dei cristiani in Irak

La novità delle ultime ore è il decreto dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) che impone l’infibulazione nei territori passati sotto la guida del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Da sabato scorso, a Mosul, non ci sono più cristiani. Gli ultimi, soprattutto poveri e anziani, se ne sono andati dopo che le loro case erano state prima marchiate…

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