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L’editoriale di “Fabbrica Società”, il giornale della Uilm, che sarà on line da giovedì prossimo

“Diffido di chi compila ricette, tanto più se a farlo è un giornalista”. E’ lapidario Dario Di Vico in “Cacciavite, robot e tablet-Come far ripartire le imprese”, edito da il Mulino.

Tanto ci basta per recepire il chiaro monito. Stavolta, quindi, non insisteremo sulla politica industriale che manca al nostro Paese. Ci convince sempre Romano Prodi quando ribadisce che “aumentare la spesa pubblica e privata nella ricerca e nell’innovazione non è un lusso, ma è l’unico modo per far avanzare il nostro sistema economico per utilizzare le risorse umane che abbiamo preparato con tanti anni di impegno e spesa”.

Ma oggi dobbiamo raccontare altro, col rischio di passare per “gufi” pessimisti. Esiste la possibilità, tanto per cominciare, di un’altra recessione. Lo segnala il Ref, realtà che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali: “Nel corso degli ultimi mesi – sottolinea la società in questione – l’area euro ha evidenziato nuovi sintomi di rallentamento.

E’ scontato l’allarme con cui si guarda al rischio di un nuovo ripiegamento anche nel 2015”. Sergio De Nardis, economista dell’Istituto Nomisma, tocca invece il nervo scoperto, dell’apparato industriale in Italia, a rischio di arretramento senza una vera ripresa della domanda interna, sia italiana che europea.“Le due recessioni – rileva De Nardis – succedutesi dal 2007, hanno colpito severamente l’apparato manifatturiero, la seconda più della prima.

La drastica caduta della domanda interna ha investito tutte le imprese, anche quelle esportatrici che vendono la gran parte del loro fatturato nel mercato nazionale. Il danno è stato strutturale, nel senso che ha inciso molto sulla capacità produttiva dell’industria, determinandone un ridimensionamento”.

Paolo Mameli, economista di Intesa San Paolo, sugli ultimi dati relativi alla produzione industriale, diffusi dall’Istat, non ha dubbi: “La perdurante incertezza sullo scenario congiunturale e di politica fiscale continua a pesare sulle decisioni di produzione delle imprese. In tali condizioni i rischi sullo scenario di crescita restano verso il basso”. Quello che sta per chiudersi è il settimo anno di crisi nazionale ed in questo arco di tempo il Paese ha perso più di dieci punti di Pil corrispondenti a 160 miliardi di euro.

“Si tratta – ci ricorda il giornalista Enrico Cisnetto – del periodo più lungo di crisi economica che l’Italia abbia mai avuto,considerato che, persino nella seconda guerra mondiale, il tempo di contrazione del Pil è durato quattro anni e altrettanti ci sono voluti per tornare ai valori antecedenti al crollo. Si calcola che dovremo arrivare al 2026 per recuperare la ricchezza perduta”.

Cosa fare? Innanzitutto, serve un’operazione di verità su quel che è successo e su ciò che muove nel Paese. Il congresso della Uil, che avrà inizio la prossima settimana, può rappresentare l’occasione per riuscirci. E’ vero: parte dell’opinione pubblica considera il sindacato come incapace di stare in sintonia coi tempi. “Un laburismo primitivo, dei veti” coglie Di Vico proprio nel libro citato in apertura. La ricerca della verità, allora, significa anche indicare come il riformismo storico possa coniugarsi con un moderno laburismo delle opportunità. Una prospettiva per niente da gufi.

Antonello Di Mario è direttore di “Fabbrica Società”

produzione industriale

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