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Per circa tre settimane due Simon Boccanegra si confronteranno alla Scala. Alla Scala il 19 novembre calerà il sipario (per ora) sulla vicenda del Doge genovese , ma il 22 novembre si alzerà a La Fenice dove la prima edizione dell’opera debuttò.

I DIRETTORI

Alla Scala ci saranno due direttori e due protagonisti per il ritorno dell’allestimento firmato da Federico Tiezzi nel 2010: Stefano Ranzani dirigerà le recite del 31 ottobre e 2, 5 e 9 novembre con Leo Nucci nella parte di Simone, e il Direttore Musicale del Teatro Daniel Barenboim quelle del 6, 11, 13, 16 e 19 con Plácido Domingo. Nella parte di Amelia si alternano Carmen Giannattasio (di cui ricordiamo gli inizi all’Accademia della Scala) e Tatiana Serjan, nei panni del Fiesco Alexander Tsymbalyuk e Orlin Anastassov, in quelli di Adorno Ramón Vargas e Fabio Sartori e in quelli di Paolo Vitaliy Bilyy e Artur Rucinski. Alla Fenice, dove l’opera debuttò nel 1857, il lavoro viene proposto nella versione definitiva del 1881 con Francesco Meli nel ruolo di Gabriele Adorno, Simone Piazzola in quello di Simon Boccanegra, Giacomo Prestia in quello di Jacopo Fiesco, Julian Kim in quello di Paolo Albiani e Luca Dall’Amico in quello di Pietro, e con la direzione di Myung-Whun Chung che torna sul Verdi maturo dopo lo straordinario Otello del 2012. Firma l’allestimento il regista napoletano Andrea De Rosa, premio UBU 2005 per Elettra di Hoffmannsthal, che dal 2004 alterna teatro lirico e teatro di prosa.

L’OPERA

Un breve cenno all’opera, dimenticata per diversi decenni sino a quando negli Anni Sessanta e Settanta Gianandrea Gavazzeni e Claudio Abbado dimostrarono che è delle più importanti del catalogo verdiano. Simon Boccanegra è il primo doge di Genova nel periodo storico di transito dal Medioevo al Rinascimento.
L’opera è stata una delle più “maledette” tra le “opere maledette” di Verdi. Fu un tonfo alla “prima” alla Fenice nel 1857 e, rimaneggiata nel libretto e nella musica, ebbe esiti modesti nelle riprese a Reggio Emilia, Milano, Napoli e Firenze nel 1858-59. Ripensata, con l’aiuto di Arrigo Boito che rimise mano a parti essenziali del libretto, fu un successo di breve durata quando la versione, adesso corrente, raggiunse La Scala nel 1881. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, venne dimenticata. Gino Marinuzzi, consapevole che si trattasse di un capolavoro unico nel teatro verdiano ed europeo più in generale, tentò di rilanciarla, a Roma, nel 1934.

LA CONSACRAZIONE INTERNAZIONALE

Da allora, “Boccanegra” ha ripreso un lento cammino, giungendo alla consacrazione internazionale vera e propria grazie a due edizioni eccellenti, ma molto differenti: quella di Gianandrea Gavazzeni, tragica, cupa, quasi infernale (ascoltabile in un mirabile cd della Rca, nettamente superiore a una versione sempre curata da Gavazzeni pochi anni prima), e quella di Claudio Abbado, invece, dolce, densa di colori chiari e di volumi leggeri (impareggiabili le evocazioni marine) che in un allestimento di Strehler e Frigerio ha viaggiato a Londra, Parigi, Mosca, Washington e Vienna ed è disponibile in cd e in dvd. Vidi la versione “Abbado” nel 1976 a Washington quando vi venne portata in tournée dalla Scala in occasione del bicentenario dell’indipendenza Usa. Ho anche visto, a Firenze, una seconda edizione “Abbado”, con la regia di Peter Stein, concepita per il Festival di Salisburgo del 2000. A differenza dell’edizione del 1971 in cui , in un gioco di luci, dominava la brezza marina, mentre oggi elementi scenici essenziali e la recitazione raffinata contrappuntano l’apologo del potere e dell’amore paterno nel viaggio di Simone verso la morte. Abbado dava all’opera una tinta soffusa, notturna, sofferente e commossa, priva forse delle evocazioni marine ma ancora più distante dalla lettura di Gavazzeni (o di quelle di Fabio Luisi e Bruno Bartoletti, ascoltate di recente). In breve, Muti gareggia con due giganti. Non includo nel novero Michele Mariotti che pochi anni fa, affrontò l’opera nel 2007 a Bologna a 28 anni, troppo giovane per carpirne i maturi segreti.

UN’OPERA POLITICA

È anche una delle opere più apertamente “politiche” di Verdi. Le diverse versioni di “Boccanegra” e l’epistolario del maestro di Busseto, rivelano come Verdi fosse un partecipante entusiasta al movimento di unità nazionale, ma diventasse progressivamente deluso da una “politica politicante”,come il protagonista del romanzo incompiuto “L’imperio” di Federico De Roberto, sempre più distante dalla sua visione lungimirante. Nella scena-chiave di “Boccanegra”, il doge fa proprio l’appello di Francesco Petrarca di porre fine alle guerre tra le repubbliche di Genova e di Venezia allo scopo di lavorare insieme per un’Italia libera, ma non è compreso né dai patrizi né dai plebei. Ciò innesca l’intrigo che porta alla catarsi finale. “Boccanegra” (i cui temi “politici” in parte verranno ripresi in “Don Carlo” e in “Otello”) svela un rapporto tormentato con la politica analogo a quello con la religione: la visione a lungo raggio della Politica con la “p” maiuscola e i programmi per realizzarla vengono bloccati da una politica con la “p” minuscola ridotta a intrighi. Opera radicalmente innovativa nella struttura drammaturgica (i fatti rappresentati nel Prologo precedono di 25 anni l’azione dell’Atto I), è uno dei lavori più moderni di Verdi.

Simon contro Simon

Per circa tre settimane due Simon Boccanegra si confronteranno alla Scala. Alla Scala il 19 novembre calerà il sipario (per ora) sulla vicenda del Doge genovese , ma il 22 novembre si alzerà a La Fenice dove la prima edizione dell’opera debuttò. I DIRETTORI Alla Scala ci saranno due direttori e due protagonisti per il ritorno dell’allestimento firmato da Federico…

npl

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