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Dal 1 dicembre entrerà in vigore il provvedimento voluto da Pechino che prevede la temporanea riduzione delle pratiche burocratiche per viaggiare in territorio cinese: nello specifico, dal primo dicembre 2023 al 30 novembre 2024 le persone che vorranno andare in Cina per attività imprenditoriali, turismo, visita a parenti e amici, e in transito per non più di 15 giorni potranno entrare senza visto, purché dotate di un passaporto ordinario rilasciato da una cerchia ristretta di Paesi. Questa lista comprendere Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Malesia, e anche l’Italia. Il ministero degli Esteri cinese ha descritto questa scelta come un “test” di un tentativo atto a sviluppare i servizi di mobilità dei cittadini cinesi e stranieri, e di favorire un’apertura di alto livello. Ma risulta difficile (se non irrealistico) pensare che la leadership del Partito Comunista Cinese abbia deciso di adottare un simile provvedimento senza avere alcun ritorno diretto e concreto. Cosa cerca di ottenere Pechino?

“L’analisi di questa decisione rivela molteplici livelli di implicazioni strategiche e impatti potenziali” afferma Gugliemo Picchi, ex-sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, che in un suo post sulla piattaforma LinkedIn delinea entro quali dimensioni la Repubblica Popolare tragga beneficio da questo “test”. A partire dal fornire nuovi impulsi alla collaborazione commerciale tra i Paesi coinvolti e Pechino, “Paesi che sono stati importanti partner commerciali” verso cui vi è “uno sforzo per rafforzare i legami economici indeboliti dalla pandemia”.

Una dimensione, quella commerciale, molto legata a quella geopolitica, che risulta essere altrettanto rilevante per il Dragone. Le cui tensioni con l’Unione Europea e i suoi Stati-membri si sono accresciute negli ultimi anni per una serie di motivazioni, come gli squilibri commerciali e le preoccupazioni per i diritti umani, e a breve saranno “trattate” durante un vertice sino-europeo a Pechino. Picchi vede questo approccio come un possibile “ramoscello d’ulivo, che segnala la disponibilità della Cina ad appianare le relazioni e a cooperare più strettamente su questioni globali” che i Paesi coinvolti potrebbero cogliere come “un’opportunità per impegnarsi con la Cina, bilanciando i vantaggi economici con le complesse sfide geopolitiche”.

Senza escludere il Soft Power. “Facilitare gli spostamenti potrebbe incrementare notevolmente gli scambi culturali, educativi e tecnologici. Questi scambi sono fondamentali per la comprensione reciproca e la collaborazione in campi come la scienza, la tecnologia e le arti. Possono portare a iniziative di ricerca congiunte, partenariati accademici e un più ampio scambio di idee e conoscenze” suggerisce Picchi, ricordando l’impatto non trascurabile di questi collegamenti “informali” in altre aree di primaria importanza.

Ma in quest’apertura c’è anche un messaggio subliminale che Pechino intende trasmettere, sia sul piano interno che su quello interno:  suggerisce un superamento dell’era pandemica, e una ritrovata capacità di gestire la situazione sanitaria a 360°. Nel tentativo di ricreare lo spirito di fiducia vittima del Covid-19, che la Repubblica Popolare non solo ha incubato, ma che ha anche gestito con un approccio di tolleranza zero scarsamente efficace, approccio che come mai ha mostrato le debolezze del regime di Xi Jinping (come raccontato molto chiaramente da Claudio Pagliara nel suo libro).

Regime che vuole anche ridare linfa vitale ai “settori del turismo e dell’ospitalità in Cina, gravemente colpiti dalla pandemia, che possono trarre notevoli benefici da questa politica. L’afflusso di viaggiatori da questi Paesi può rinvigorire le economie locali, creare posti di lavoro e stimolare lo scambio culturale”.

“Per l’Italia e per gli altri Paesi dell’Ue, [quest’apertura] rappresenta un mix di opportunità e sfide, che richiede un’attenta navigazione per massimizzare i benefici e affrontare al contempo le preoccupazioni più ampie” afferma Picchi in chiusura. Che rimarca anche come “questo cambiamento di politica rappresenta un passo avanti verso relazioni internazionali più aperte nell’era post-pandemia, con la Cina che assume un ruolo proattivo nel plasmare le sue interazioni con l’estero”.

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