L’innovazione spaziale non riguarda solo nuove tecnologie, ma anche la costruzione di un ambiente inclusivo che favorisca la partecipazione femminile. Cinzia Zuffada è una figura di spicco nel mondo scientifico internazionale, e con oltre 32 anni di esperienza alla Nasa, ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo di progetti strategici. In questa intervista, originariamente pubblicata nel numero di settembre della rivista Airpress, Zuffada esplora l’evoluzione della presenza femminile in settori storicamente dominati da una componente maschile, il suo impegno per ridurre il gender gap e la lotta contro il soffitto di cristallo che le donne continuano a incontrare nel settore aerospaziale.
Ci può parlare dei progetti più significativi che ha seguito nel settore aerospaziale?
Come deputy chief scientist, mi sono occupata del programma di ricerca interno del Jet propulsion laboratory della Nasa. Questo programma gestisce i fondi che vengono messi a disposizione della comunità di ricerca del laboratorio per mantenere la competitività, sia all’interno sia all’esterno, verso le opportunità che la Nasa offre. È un programma che si compone di una fetta di investimenti strategici, pensati per le missioni spaziali già profilate all’orizzonte, e di una componente a lungo termine riservata a idee innovative che sono ancora da dimostrare. Durante i miei quindici anni in questo ruolo, questa fetta di ricerca a lungo termine è cresciuta, portando alla maturazione di molte nuove idee. Il laboratorio lavora in tutte le discipline: c’è l’astrofisica, l’esplorazione del sistema solare, quindi le scienze planetarie e le scienze della Terra con tutte le tecnologie relative e le innovazioni ingegneristiche. Tra i progetti più significativi a cui ho lavorato ci sono lo sviluppo di nuove classi di dispositivi per osservazioni astronomiche, strumenti miniaturizzati per il telerilevamento, come spettrometri, radar, radiometri. Abbiamo visto l’emergere delle comunicazioni ottiche e il ruolo crescente dell’autonomia nei veicoli spaziali e negli strumenti scientifici che operano nello spazio. Ci sono stati progressi nei modelli di predizione dei cambiamenti climatici e nel potenziamento delle funzioni dei rover, come quelli che esplorano il suolo di Marte. Ho lavorato molto da vicino per far sì che la nostra comunità di ricercatori fosse preparata a scrivere proposte e vincerle.
Come ha visto evolversi la partecipazione delle donne in questo campo?
Ho visto una crescita nella partecipazione delle donne in tutti questi settori, con ruoli sempre più visibili e contributi significativi, soprattutto tra le nuove generazioni di ricercatori. Il mio ruolo è stato quello di garantire equità nell’accesso ai fondi di ricerca e alle infrastrutture, come il supporto delle attrezzature di laboratorio, e di riconoscere il valore dei contributi femminili attraverso premi e altri riconoscimenti di merito. È un’attività che va fatta in modo conscio e metodico, misurata e sostenuta nel tempo.
Nonostante i progressi, ritiene che le donne incontrino ancora difficoltà nel raggiungere ruoli di vertice nel settore?
Certamente, ci sono ancora problemi. Anche nel mio ruolo di senior leader, ho incontrato difficoltà. Ci sono atteggiamenti che riflettono mancanza di rispetto professionale verso le donne e, in alcuni casi, comportamenti aggressivi che tendono a limitare lo spazio che occupiamo. Questi problemi esistono ancora, anche se credo che oggi le donne abbiano più strumenti per affrontarli. Nel mio caso, ho dovuto confrontarmi con queste situazioni, ma non sono rimasta in silenzio. Quando mi trovavo davanti a comportamenti aggressivi o di mancanza di rispetto, ho lavorato con il resto della mia istituzione, riferendomi agli altri manager, ai pari, e a chi nell’organizzazione deve salvaguardare i principi e i valori fondamentali. Se guardiamo i valori della Nasa, del Jpl, del Caltech, troviamo sicuramente il rispetto e l’equità come principi fondamentali. Quando questi vengono violati, è importante fare riferimento a chi ha il ruolo istituzionale di difenderli. Non ho esitato a lavorare con il mio management, con gli avvocati, e con l’ufficio del personale per contrastare atteggiamenti di mancanza di rispetto o di scarsa professionalità. Per esempio, quante volte capita che si articolano delle posizioni o le donne portano idee e queste non vengono riconosciute? In questi casi, è importante lavorare con l’organizzazione per trovare soluzioni, e posso dire che, sebbene non siano stati immediati, i risultati sono arrivati grazie a delle alleanze costruite nel tempo.
Avendo esperienza sia nel contesto italiano che in quello americano, ha riscontrato differenze nel modo di affrontare queste problematiche?
Devo premettere che non conosco a fondo il sistema italiano perché non ho lavorato lì, quindi lo conosco in modo indiretto. Tuttavia, posso fare un confronto a livello personale. Nel contesto americano, negli ultimi quindici anni c’è stata una crescente sensibilizzazione al problema del gender bias e dell’equità di genere. Questo tema è stato affrontato in modo consapevole, con piani sviluppati a livello istituzionale e implementati in modo concertato. Ricordo che quando ho iniziato al Caltech nel 1982, era un’università a prevalenza maschile, con pochissime studentesse e ancor meno professoresse. Con il tempo, il Caltech e altre istituzioni accademiche hanno fatto sforzi consapevoli, ponendosi dei traguardi, per reclutare sia docenti che studenti donne, e sono riusciti a cambiare significativamente le percentuali.
Lo stesso è avvenuto alla Nasa. Durante l’amministrazione Obama, per esempio, è stata introdotta la Giornata Internazionale della Donna dell’8 marzo, in linea con le Nazioni Unite, che prima non esisteva negli Stati Uniti. Questo ha consentito di rafforzare alla Nasa, proprio in quegli anni, il senso del riconoscimento del contributo femminile, il senso che ci dovesse essere una maggiore presenza femminile nella senior leadership e altrove.
Al Jpl, abbiamo iniziato a vedere una componente femminile più alta nella senior leadership grazie alle scelte del direttore, che ha implementato questi valori. Col tempo, questa sensibilizzazione si è diffusa nel resto dell’organizzazione. Nel mio Ufficio, abbiamo iniziato a misurare se ci fosse equità nella distribuzione dei fondi di ricerca e nell’accesso alle opportunità, e questo approccio è stato diffuso in tutto il Jpl.
Dopo il Covid, è stato introdotto il programma Diversity, equity, and inclusion (Dei), che va oltre l’equità di genere, abbracciando anche la diversità etnica, razziale e delle disabilità. Questo programma è stato accolto positivamente e ora, per esempio, un team che presenta una proposta di missione alla Nasa deve giustificare i contenuti di diversità dei membri del team nel progetto. Questo è un risultato tangibile e importante.
Quali consigli darebbe a una giovane donna interessata a una carriera Stem nel settore aerospaziale?
Innanzitutto, è fondamentale acquisire una solida preparazione tecnica. Questo è il punto di partenza per una carriera in questo settore: un bagaglio di competenze tecniche specifiche che copra le discipline rilevanti. Non esiste una formula unica, ma è essenziale avere una base di conoscenze tecniche che possano essere adattate ai punti di forza personali.
Oltre alla preparazione tecnica, è importante iniziare, già durante gli anni universitari, a costruire una rete di conoscenze, includendo anche modelli di ruolo e mentori. Il mentoring è cruciale, e molte persone senior, come me, si mettono a disposizione per guidare i più giovani, aiutandoli a capire come funzionano le cose nel settore. È utile cercare questi modelli sia tra donne che uomini, perché anche le alleanze maschili sono fondamentali.
È altrettanto importante coltivare queste relazioni durante tutta la carriera, poiché aiutano a comprendere meglio il panorama lavorativo, a costruire amicizie e alleanze che possono essere decisive. Avere degli alleati è essenziale perché, per essere considerati per un ruolo o un’opportunità, qualcuno deve aver osservato il tuo lavoro e riconosciuto il tuo valore. Questo tipo di riconoscimento avviene spesso grazie a chi è in posizione di decisione e ha notato la qualità del tuo lavoro.
Questi aspetti non erano così evidenti nella mia generazione, ma sono convinta che le giovani di oggi ne siano più consapevoli. Tuttavia, noto spesso che le giovani donne tendono a esitare più degli uomini, a essere più introverse e critiche verso sé stesse. Spesso aspettano di sentirsi completamente pronte prima di lanciarsi in qualcosa. Il mio consiglio per loro è di mettersi alla prova prima, di essere più coraggiose e di non temere di fare errori. Anche dagli errori si impara, ed è meglio iniziare a fare esperienza il prima possibile.
Ha mai sentito che la sua comfort zone abbia influenzato il suo percorso professionale?
Sicuramente posso dire di aver avuto troppe esitazioni. Ho spesso aspettato di sentirmi più sicura prima di fare un passo, e questo mi ha penalizzata. Sono stata troppo timida nel mettermi alla prova e nel lanciarmi, probabilmente a causa dell’educazione che ho ricevuto, che non è più quella di oggi. Ero all’università negli anni ’70, parliamo di molto tempo fa. Questi parametri ormai sono superati, ma sono comunque una lezione utile. Allora facevano parte dell’educazione ricevuta, e influivano su una personalità come la mia, non esuberante e non estroversa. Oggi consiglio di cercare di essere più audaci, di darsi una spinta in più e di farlo prima.
Crede che nel prossimo futuro si possa raggiungere una reale parità di genere nel settore aerospaziale?
Credo che ci sarà un progresso più rapido in alcuni settori rispetto ad altri. Dipenderà anche dalle aree specifiche. Ad esempio, nel campo delle scienze della Terra, come la geofisica, la geologia e le scienze dell’atmosfera, comprese le relative tecnologie, vediamo gia’ una presenza femminile significativa. Questi settori sono avanzati di più rispetto ad altri.
Nel Jpl, fino a poco tempo fa, si vedeva questa differenza. In altri settori, la limitazione è più forte, ma credo che non ci vorranno 100 anni per vedere un cambiamento significativo. La limitazione è più forte in parte perché ci sono settori con una longevità del personale molto alta. Siccome non esiste un’età pensionabile obbligatoria negli Stati Uniti, il Jpl è un posto, ad esempio, dove esiste una longevità di personale perché il lavoro è entusiasmante. Quindi abbiamo impiegati con più di 70 anni, e anche alcuni con più di 80. In queste generazioni c’è una prevalenza maschile, perché alcune generazioni fa non c’erano tante donne e molte di loro lasciavano il lavoro per esigenze familiari.
Tuttavia, questa longevità sta venendo meno per motivi fisiologici, e queste generazioni vengono progressivamente sostituite da un pool più diversificato. Questo è il motivo per cui credo che con il ricambio generazionale i numeri cambieranno più velocemente.