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Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Per le piccole banche cinesi non sembra essere ancora arrivato il momento della fiducia. Non è la prima volta che accade, più volte si sono visti casi di ammutinamento a un passo dalla quotazione in Borsa. Colpa della poca trasparenza e dei troppi debiti che lo Stato non ha onorato, specialmente quando ha chiesto soldi al mercato. Ad oggi gli obbligazionisti internazionali hanno recuperato meno dell’1% dei 150 miliardi di dollari di bond lasciati scoperti dalle aziende del mattone a partire dal 2021. Nonostante anni di negoziati e quasi una dozzina di accordi di ristrutturazione, solo 917 milioni di dollari in contanti sono stati trasferiti agli investitori in obbligazioni offshore riconducibili a 62 società

Fatto sta che i piccoli istituti di credito cinesi stanno ritirando le loro domande per le offerte pubbliche iniziali, le Ipo, senza arrivare nemmeno al delisting (quando cioè prima ci si quota e poi si lascia la Borsa). Secondo Bloomberg, infatti, istituti quali la Guangdong Shunde Rural Commercial Bank e la Bank of Guangzhou hanno ritirato la domanda di Ipo alla Borsa Shenzhen.

Attenzione, il ritiro in massa non si limita ai mercati onshore, ovvero domestici. La Jilin Jilin Jiutai Rural Commercial Bank, per esempio, ha dichiarato la scorsa settimana che si disimpegnerà dalla Borsa di Hong Kong dopo aver presentato, mesi fa, un’offerta pubblica di acquisto. E ancora, la banca di Jinzhou, tre mesi fa, ha salutato la Borsa dell’ex colonia britannica.

Domanda, che succede? La risposta è duplice. Quotarsi è un rischio e se l’economia non tira come dovrebbe il mercato potrebbe rispondere in modo freddo all’offerta di azioni messe in palio. E poi c’è un tema di regole. “Il progresso delle Ipo delle piccole e medie banche non ha avuto successo, poiché le autorità di regolamentazione erano state abbastanza severe in tali approvazioni”, ha affermato Liao Zhiming, analista capo del reddito fisso presso Huayuan Securities. E poi c’è la manina dello Stato.

O meglio, del partito. La Cina sta fondendo i piccoli istituti di credito, molti dei quali sono considerati rischiosi e con una governance debole. Tutto questo rende meno necessaria la ricerca di capitale in Borsa, dunque la quotazione. Basti pensare che il regolatore bancario, la National Financial Regulatory Administration, ha approvato circa 200 fusioni tra banche di piccole e medie dimensioni nella prima metà del 2025.

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