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“Dare le risposte è facile. Il vero problema è fare le domande giuste”
(Sherlock Holmes)

Tre milioni e mezzo di disoccupati, con un tasso del 13,6% – già terribile di per sé – che diventa un devastante 46% tra i giovani. Oltre 100.000 fabbriche chiuse dal 2001 ad oggi che, secondo Confindustria, hanno portato alla perdita di oltre un milione di posti di lavoro e a una diminuzione della produzione industriale di circa un quarto.

E oggi scioperano anche gli 80.000 lavoratori italiani dei call center, che nell’immaginario collettivo sono da tempo il paradigma del lavoratore sottooccupato, sfruttato, precario e mal pagato.

Tre notizie delle ultime ore, tre indizi che, messi insieme, non solo ci dicono che le cose non vanno troppo bene in Italia, ma anche che la strada è ancora lunga. E, soprattutto, che i passi lungo la strada giusta non sono ancora decisi come dovrebbero.

Quella di cui dobbiamo liberarci, e anche in fretta, è l’idea che nell’Italia del 2014 occupazione faccia ancora rima con le grandi fabbriche (e più in generale con il lavoro dipendente) e che il rilancio passi invariabilmente per l’aumento della produzione industriale.

Che le produzioni di massa vadano via via spostandosi dove il costo della manodopera è più conveniente è un dato di fatto contro il quale si può poco. E certo non si può pensare di essere competitivi sui lavori meno professionalizzati.

Quello su cui si deve puntare sono i servizi ad alto valore aggiunto, la progettazione, l’innovazione, le produzioni di eccellenza, ma anche la logistica, la cultura, il turismo. Il tutto in un sistema di rete in termini di piattaforme collaborative di condivisione, crowdrating, crowdfunding, crowdworking che metta in contatto i diversi attori del sistema economico, permettendo a ciascuno di rafforzarsi nello scambio di idee e di competenze.

Per fare tutto questo non bastano le parole, e neanche le idee chiare. C’è bisogno di investimenti e della volontà politica di sostenerli. Investimenti in formazione, in ricerca, in infrastrutture – di trasporto e digitali – e in tutti quegli intangible assets di competizione collaborativa che troppo e troppo a lungo sono stati trascurati.

Qualcuno potrebbe obiettare che i risultati non sarebbero immediati e che per fronteggiare le emergenze ci vogliono piani a brevissima scadenza. Ma non guardare più in là del proprio naso non ha mai dato risultati stabili e duraturi, al più qualche illusoria fiammata. È arrivato il momento di spostare lo sguardo più in là.

Pubblica amministrazione

Spostare lo sguardo più in là

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