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Mercoledì 6 marzo un raid di droni russi si abbatte sulla città costiera di Odessa, con l’obiettivo di colpire le infrastrutture portuali del centro abitato. Degli otto droni inviati dalle forze di Mosca, sette sono stati abbattuti dalle difese aeree ucraine. Ma uno è sopravvissuto, andandosi a schiantare contro un edificio di nove piani in una zona residenziale. Causando cinque vittime, tra cui una donna incinta e un bambino.

Al momento dello schianto, poche centinaia di metri di distanza separavano l’edificio distrutto e il convoglio di auto sul quale viaggiavano il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, recatosi in Ucraina per incontrare Zelensky in una visita organizzata senza preavviso prima di recarsi in Romania. Raggiunto dai cronisti immediatamente dopo l’attacco, il leader di Atene ha rilasciato questa dichiarazione: “Credo che questo sia per noi il migliore e più vivido promemoria del fatto che qui c’è una vera guerra in corso. Ogni giorno c’è una guerra che non riguarda solo il fronte, i soldati, ma anche i nostri concittadini innocenti”. L’attenzione mediatica che il caso ha avuto in Occidente è essa stessa una conferma delle parole di Mitsotakis. Il raid russo su Odessa, con tutta la sua violenza, ha ricordato all’Occidente che il conflitto in corso in Ucraina non ha affatto perso di intensità, anzi. E che quel conflitto continua ad essere vicino a noi, molto vicino.

Senza dimenticare che anche noi potremmo un giorno ritrovarci coinvolti in un confronto diretto con Mosca. Con gli allarmi lanciati durante gli ultimi mesi dai servizi di informazione di vari Stati occidentali che sembrano la concretezza di questa possibilità nei prossimi dieci anni. Il timore dominante è che il Cremlino possa trovare coraggio nella percezione di un’Occidente disunito e poco determinato combattere, per una serie di fattori differenti. Andrea Kendall-Taylor, direttrice del Programma di sicurezza transatlantica presso il Center for a New American Security, e Greg Weaver, ex-vicedirettore del Joint Chiefs of Staff Directorate for Strategic Plans and Policy ed ex-direttore dell’Office of the Under Secretary of Defense for Policy, hanno delineato in un articolo pubblicato da Politico quali possano essere i fattori che potrebbero influenzare Mosca a correre questo rischio.

Come ovviamente la potenziale rielezione dell’ex presidente americano Donald Trump, che solleverebbe seri interrogativi sull’impegno di Washington nei confronti dell’Europa alla luce delle sue recenti dichiarazioni, nonché di quelle fatte durante la sua precedente esperienza alla Casa Bianca. Dichiarazioni che, anche se non si trasformassero poi in fatti concreti, sarebbero sufficienti a picconare la credibilità della Nato, aumentando il rischio di una sfida diretta all’alleanza da parte di un Cremlino più sicuro di sé. Ma anche cambiamenti politici all’interno dell’Europa potrebbero avere effetti altrettanto incisivi. L’affermarsi di partiti di espressione filo-russa come il tedesco Alternative fur Deutschland o il francese Front National potrebbe rendere più difficile il raggiungimento di una posizione comune, e quindi di una reazione decisa a colpi di mano Mosca.

Ma anche l’impegno degli Stati Uniti in un conflitto di grandi dimensioni con la Cina avrebbe un impatto sui calcoli del presidente russo Vladimir Putin, ritenendo che Washington non avrebbe né l’interesse politico né le risorse per venire in aiuto dell’Europa. Il Cremlino potrebbe giungere a una conclusione simile anche se gli Stati Uniti dovessero essere costretti a rispondere a conflitti minori ma comunque significativi con altri attori l’Iran o la Corea del Nord.

E l’Europa da sola non sarebbe pronta a reagire ad una simile evenienza. Servono più investimenti nel settore della difesa, per costruire un apparato militare-industriale solido e capace di offrire alle strutture di sicurezza europee gli strumenti di cui ha bisogno. E al tempo stesso è necessario rivedere il sistema di deterrenza per renderlo più sostenibile dal punto di vista dell’autonomia strategica. Per evitare che quanto accaduto a Odessa accada anche oltre l’Ucraina.

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