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“I veri potenti sono coloro che riescono a fare una cosa molto semplice: far sognare il loro sogno a tutti gli altri”
(Simone Weil)

Governo e organizzazioni confederali delle imprese e dei lavoratori non sembrano vivere un momento di grande sintonia. O almeno si potrebbe dire che in questa fase le comunicazioni appaiono piuttosto disturbate. Volendo sintetizzare la situazione tagliandola con l’accetta, da un lato le parti sociali accusano il governo di aver abbandonato ogni forma di concertazione, dall’altro l’esecutivo rivendica il suo diritto di decidere senza farsi bloccare da veti e infinite trattative.

Il tutto mentre il lavoro resta la grande emergenza, non risolta, sul tavolo. Il che spinge a pensare che, in un modo o nell’altro, sarebbe auspicabile che si trovasse un punto di sintesi.

Certo, ci sono diversi elementi che non aiutano. Anzitutto occorre ricordare che negli ultimi 15 anni c’è stata una forte spinta a comprimere o a limitare gli spazi di concertazione. Una scelta sul cui merito non voglio intervenire, ma che ha avuto l’indubbio effetto di creare diffidenze reciproche, polarizzare le discussioni, elevare da ambo i lati totem che guardavano più all’ideologia che al pragmatismo.

Altro fattore di non scarso peso è la proiezione mediatica di queste vicende, che tende in maniera più o meno monocorde a dipingere i sindacati quali rappresentanti della conservazione e il governo quale campione del cambiamento.

Infine non si può non tener conto di come il mondo del lavoro sia cambiato negli ultimi anni, frammentandosi e allo stesso amalgamandosi, e di come conseguentemente anche la rappresentanza abbia ricalcato queste evoluzioni.

Tutto ciò detto, resta la questione molto più pragmatica di come trovare una sintesi. Di come far sì che la questione lavoro, l’emergenza lavoro possa trovare una risposta che si dimostri efficace e che allo stesso tempo raccolga il massimo di condivisione e di consenso, e dunque di appoggio e sostegno.

La mia opinione è che il governo potrebbe forse alzare leggermente il piede dall’acceleratore del turbo-decisionismo, prendendo coscienza che la discussione con le parti sociali non è solo una perdita di tempo ma può portare all’elaborazione di soluzioni più efficaci. Il tutto, ovviamente, con regole chiare e tempi certi fin dall’inizio (a un certo punto bisogna pur decidere…) e, soprattutto, coinvolgendo anche le espressioni innovative e le reti intelligenti e competenti dell’associazionismo professionale come Confassociazioni (e qui dichiaro ufficialmente il mio personale conflitto di interesse).

Non dimentichiamolo: spesso i conflitti si bypassano cercando di innovare non solo il metodo ma anche (e soprattutto) le idee. Quando qualcuno è in grado di spostare stabilmente in avanti l’orizzonte attraverso le proprie capacità e competenze costringe gli altri ad inseguire, impedendogli di predisporre “trappole paludose”, di fare sgambetti o di “allungare il brodo”. Nonostante le difficoltà degli ultimi sei anni di crisi, è questa una delle lezioni più importanti che dovremmo aver imparato da personaggi innovativi e pragmatici come Steve Jobs e Barack Obama.

Lezioni importanti. Credo sia giunto il momento di farne finalmente tesoro…

Con il braccio di ferro non si va da nessuna parte

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