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Nella guerra civile che da esattamente un anno sta infiammando il Sudan, con le forze dell’esercito regolare guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan che si contrappongono all’organizzazione paramilitare Rapid Support Force (Rsf) capeggiata da Mohamed Hamdan Dagalo, Kyiv e Teheran combattono dalla stessa parte contro Mosca. Mentre Dagalo e i suoi miliziani possono contare infatti sul supporto della compagnia di sicurezza privata russa Wagner, l’apparato militare regolare ha potuto contare sul sostegno delle forze speciali ucraine, in apparenza dispiegate in Sudan proprio per contrastare la Private Military Company di Mosca. E ultimamente sembra che i soldati regolari sudanesi stiano utilizzando droni di manifattura iraniana per colpire le posizioni della Rsf, sia attraverso azioni di ricognizione e target acquisition che per l’esecuzione di veri e propri attacchi.

Sei diverse fonti iraniane impiegate nella gerarchia amministrativa o in quella diplomatica (che hanno chiesto di parlare in condizione di anonimità per via della sensibilità del tema) hanno confermato a Reuters che l’esercito di Khartoum ha acquisito veicoli aerei senza pilota di fabbricazione iraniana negli ultimi mesi. Tuttavia un’alta fonte (anonima) dell’esercito sudanese, contattata dalla stessa agenzia di stampa, ha negato che i droni di fabbricazione iraniana provenissero direttamente dall’Iran, rifiutandosi di dettagliare sia le modalità del processo procurement di questi apparecchi che la loro quantità effettiva, asserendo però che prima del 2016, quando i rapporti tra i due Paesi si sono fortemente deteriorati a causa dell’avvicinamento del Sudan all’Arabia Saudita (notoriamente ostile a Teheran), l’esercito sudanese aveva avviato la produzione di droni di progettazione iraniana nell’ambito di programmi militari congiunti. Anche il ministro degli Esteri sudanese ad interim Ali Sadeq ha affermato a Reuters che “il Sudan non ha ottenuto alcuna arma dall’Iran”. L’ufficio stampa delle Rsf ha invece dichiarato che l’esercito regolare ha ricevuto droni e altre armi di manifattura iraniana, non rispondendo però alle richieste di fornire prove al riguardo.

Una fonte vicina all’apparato teocratico di Teheran ha affermato che carichi di droni Mohajer e Ababil prodotti in Iran sono stati trasportati in Sudan diverse volte dalla fine dello scorso anno dalla compagnia aerea iraniana Qeshm Fars Air. Wim Zwijnenburg, esponente dell’organizzazione pacifista olandese Pax, ha raccolto dei registri di volo che mostrano come nel dicembre 2023 e nel gennaio 2024 un aereo cargo Boeing 747-200, gestito proprio da Qeshm Fars Air, abbia effettuato sei viaggi dal territorio iraniano fino a Port Sudan, una delle principali basi dell’esercito regolare. E in una fotografia satellitare risalente al 9 gennaio di quest’anno un Mohajer-6 sarebbe visibile sulla pista della base di Wadi Sayidna.

L’Rsf ha dichiarato che l’esercito regolare avrebbe ricevuto due volte alla settimana consegne di droni e di altro materiale militare dall’Iran, affermando che la sua intelligence avrebbe scoperto consegne di droni iraniani Mohajer-4, Mohajer-6 e Ababil a Port Sudan, e che diversi di questi droni sarebbero stati abbattuti dai miliziani. Tuttavia nessuna prova capace di confermare queste dichiarazioni è stata condivisa.

L’appoggio di Teheran all’esercito regolare sudanese sarebbe mirato a ricostituire i legami con il Paese africano, locato in una posizione strategica: il Sudan si trova infatti sulla costa del Mar Rosso antistante allo Yemen, dove opera il gruppo Ansar Allah (denominazione formale degli Houthi). Il rifornimento di materiale militare sarebbe visto da Teheran come un perfetto strumento di penetrazione nell’area. Uno sviluppo che gli Stati Uniti non gradirebbero. Un portavoce del Dipartimento di Stato americano ha dichiarato che Washington sta monitorando la situazione, affermando che “gli Stati Uniti si oppongono a un coinvolgimento esterno a sostegno del conflitto in Sudan, che non farebbe altro che esacerbare e prolungare il conflitto e rischierebbe di diffondere ulteriormente l’instabilità regionale”.

La drone diplomacy di Teheran guarda (anche) verso Ovest. Il caso sudanese

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